30 Aprile

Sezione: non-accadde/

Sardonicus dixit : “Autostima, virtù deprecata quando è presente, invocata quando è assente”.


30 aprile

Inizio della notte di Santa Valpurga (Walpurgisnacht), la notte delle streghe. Titolo di due episodi del Faust, di Johann Wolfgang von Goethe. Il Faust, come tutti i grandi classici, è ormai di difficile accesso, anche se relativamente breve. Penso che saltare a piè pari la seconda parte fino all’ultima scena, che resta da leggere, non sia né un’azione rara né, da un punto di vista letterario, un peccato mortale.
(“Faust”, prima parte 1808; seconda parte, 1832; 220 pagine in totale).
Alla caotica tragedia di Goethe si ispirarono innumeri autori. Ne vennero almeno due buone opere musicali, rispettivamente di Charles Gounod (Faust) e di Arrigo Boito (Mefistofele), nonché una “leggenda drammatica” per soli, coro e orchestra, la “Dannazione di Faust” di Hector Berlioz.
(“Faust”, 1859, cinque atti).
(“Mefistofele”, 1868, un prologo, quattro atti, un epilogo).
(“La damnation de Faust”, 1846, quattro parti e un epilogo).
L’ultimo verso del Faust di Goethe, è: “ Das Ewig-Weibliche zieht uns hinan - L’eterno-femminino ci trae con sé”. Su questo “eterno femminino” si sono scritti volumi che lasceremo agli esperti. Più importante per me è che il verso sia citato da Peer Gynt, di Henrik Ibsen, alla fine della scena VI, atto IV dell’omonimo dramma. È un po’ tirata per i capelli, ma è difficile trovare date in questo dramma in poesia, complicato, apparentemente senza capo nè coda, stravagante, diseguale, contorto, fumoso, oscuro, con personaggi senza forma che s’incontrano di notte ( il Bøyg); dramma che ha le sue radici nella leggenda, ma è rimasto quasi da solo ad indicare la via agli uomini tra i trolls - opera incandescente e fuori del tempo con scene di rara bellezza (per esempio, la morte di Aase). Una volta che si sa che esiste, bisogna leggerlo, e magari ascoltare la musica di scena di Edvard Grieg.
(“Peer Gynt”, 1867, cinque atti).

1574, venerdì. Vera data dell’esecuzione sulla Place de Gréve a Parigi di Boniface de la Mole e Annibal de Coconasso. Vedi 26 aprile.

1608, mercoledì. “Acabé este discurso en el Fresno a postrero de abril de 1608, en 28 de mi edad – Ho terminato questo discorso al Fresno, l’ultimo di aprile del 1608, a ventotto anni”. Così si conclude il “Sogno dell’inferno”, di Francisco Quevedo y Villegas. È il terzo dei quattro “Sogni e discorsi”, capolavoro di questo occhialuto claudicante, provocatore e spadaccino temibile, con cui culmina il secolo d’oro spagnolo. Lo stile semplice, elegante, leggero, ricorda quello di Luciano. I diavoli di questo sogno dell’inferno tendono ad essere sermoneggianti al limite del sopportabile, ma è interessante vedere chi Quevedo caccia nel suo ortodosso inferno. Ci sono gli astrologi e i Templari e c’è Maometto, che spiega perché ha vietato ai credenti vino e carne di maiale. C’è anche Lutero, ma Quevedo, a sorpresa, dice “Gli avrei detto di più se non mi avesse impietosito la sventurata posizione in cui stava il disgraziato Lutero”.
(“Sueños y discursos de verdades descubridoras de abusos, vicios y engaños en todos los oficios y estados del mundo”, composti fra il 1606 ed il 1623, circolarono largamente manoscritti, ma non furono pubblicati fino al 1627, 252 pagine)

1773, venerdì. Conversazione (storica, questa) tra James Boswell e Samuel Johnson in cui quest’ultimo fa i maggiori elogi al poemetto di Oliver Goldsmith, “Il villaggio abbandonato”. Un po’ prima, sotto l’anno 1766, Boswell ha notato che gli ultimi quattro versi del poemetto sono in realtà di Johnson stesso. Nella sua ammirazione per Johnson, Boswell non vide che gli ultimi quattro versi non aggiungono proprio nulla al poemetto. Questo appartiene alla serie della malinconia moralistica inglese, non si sa quanto sincera. Il villaggio della giovinezza dell’autore (“il dolce Auburn”, che però è un villaggio immaginario) è abbandonato perché la campagna è stata lasciata dai suoi figli, alla ricerca di fortuna e piaceri in città. Belle rievocazioni di caratteristici personaggi ed ambienti del villaggio. Goldsmith, Irlandese, non immaginava che ottant’anni più tardi il suo intero Paese, in preda ad una spaventosa carestia, sarebbe stato abbandonato in massa, su scala assai maggiore.
(“The deserted village”, 1765, 430 versi).
In questa collezione di date ho fatto poco uso di libri di storia (se non romanzata) e di biografie. Sarebbe troppo facile. Tuttavia, la vita di Samuel Johnson lasciataci da James Boswell, che è più un diario di una vita altrui che una biografia, è un esperimento talmente strambo che non resisto al piacere di consigliarne la lettura, almeno parziale.
(“The Life of Samuel Johnson”, 1791. Una versione ridotta occupa già 1.3 Mb. Nel XIX secolo fu pubblicata una versione in 18 volumi). Bisogna essere Inglesi per realizzare una cosa del genere. Anzi, mi correggo, simili raccolte esistono anche per le vite di alcuni Santi di grande carisma. Si veda per esempio come furono scritte le “Memorie biografiche del Santo Giovanni Bosco”, di Giovan Battista Lemoyne ed altri, in 19 volumi più indici. Leggerle edificherà i santi ed irriterà furiosamente i peccatori.

1852, venerdì. Nasce una bambina a Gervaise da Louis Coupeau, in casa. Verrà battezzata col nome di Anna (“L’Assommoir”, di Zola, vedi 29 luglio).
Anna è la futura Nana, personaggio e romanzo dei più notevoli di Zola (vedi 19 luglio).

1941, mercoledì’. Compleanno di Beatriz Viterbo, che a questo punto è già morta da un pezzo, per la precisione nel 1929. L’autore (Jorge Luis Borges) celebra la ricorrenza nella vecchia casa di Beatriz insieme al fratello maggiore di lei, Carlos Argentino Daneri. E qui inizia la vicenda che lo porterà a scoprire che nella casa esiste … El Aleph.
In questo non lungo racconto si incontra una quantità di informazione rara e si fa la conoscenza con il Polyolbion di Michael Drayton, una bella stranezza di per sé, ma soprattutto si incontra …. El Aleph.
(“El Aleph”, 1949, 4600 parole, 9 pagine).
(“Polyolbion”, 1512, 15000 versi dodecasillabi).