11 Giugno

Sezione: non-accadde/

Sardonicus dixit:”Ti giuro di amarti per sempre se mi prometti che mi lascerai subito dopo.”


11 giugno
323 aC, la più probabile data della morte di Alessandro Magno. Oltre che in innumeri testi di storia, la morte di Alessandro è narrata, in maggiore o minore dettaglio, più o meno romanzata, anche in opere letterarie d’altro genere. La più insigne tra queste ultime, anche se non necessariamente la più agevole da leggere, è di parte avversa, cioè un capitolo del Libro dei Re, del Persiano Abu’l Qasim Firdusi (Ferdawsi) di Tus, in lunghezza degno competitore del Mahabharata (vedi 18 febbraio), con circa 60000 distici. Fortunatamente esistono alcune traduzioni totali o parziali e diversi progetti che hanno lo scopo di rendere accessibile quest’opera, in originale o in traduzione. Ci sono anche antologie che forse sono il mezzo più semplice di avvicinarsi alla grandiosa epopea. Nel capitolo in questione, Alessandro è Sikander e il lettore potrà dilettarsi a decifrare altri nomi greci. Abbiamo poco da criticare: dopo tutto, Ardashir diviene per noi Artaserse.
Il finale del Libro dei Re (in libera traduzione) è come segue:
“Ho raggiunto la fine di questa grande storia
e tutta la terra parlerà di me.
Non morirò: i semi che ho seminato
salveranno dalla tomba il mio nome e la mia fama…”

(“Shahnameh”, circa 1000 dC, 120000 versi novenari)
Questo finale ricorda da vicino una famose ode di Orazio:
“Exegi monumentum aere perennius …. non omnis moriar - multaque pars mei vitabit Libitinam - Ho eretto un monumento più duraturo del bronzo….non tutto morirò - e gran parte di me eviterà gli dei dell’aldilà” (Carmina III, 30). E’ la speranza di tutti gli scrittori, anche i più modesti.
Ferdowsi si dichiara musulmano Shiita, ma il lettore occidentale non sfugge all’impressione che l’islamismo del poeta sia temperato dall’amore per le tradizioni della sua terra e , se non proprio dalla fede, certo dal rispetto per l’antica religione nazionale, lo Zoroastrismo. Del resto, valgono anche per gli sconfitti Persiani gli ultimi quattro versi dei Sepolcri di Foscolo (vedi 12 giugno).

Però il prode Artabazo fa cadere ai suoi piedi la bella Melissa proclamando di essere Alessandro Magno redivivo, ed affermando che le cose non andarono così. Artabazo e Melissa sono i personaggi di una delle più notevoli (e più ingiustamente dimenticate) commedie del Seicento Francese, “I visionari”, di Jean Desmarets de Saint-Sorlin. Questa surreale commedia, che più di molte altre di quel tempo offre il destro a riletture moderne, ci presenta un padre borghese, le sue tre figlie da maritare, quattro pretendenti, tutti quanti – diremmo – matti da legare: il padre è un debole, le figlie sono riluttanti al matrimonio per i motivi più bizzarri, i pretendenti sono in vario modo innamorati di se stessi. Tutti hanno perso il contatto con la realtà. Anche l’autore era non poco eccentrico di suo, ma sapeva scrivere versi sul serio. Lettura o spettacolo raccomandati ai lettori desiderosi di guadagnarsi un raffinato divertimento.
(“Les visionnaires”, 1637, cinque atti).
Nell’atto II, scena IV, non manca un breve dibattito sulle famose unità classiche (di tempo, di luogo e di azione), che avrebbero dovuto essere rispettate dalle composizioni teatrali. Desmarets, con il suo amico François Boisrobert (un eccentrico che con la sua sola presenza curava le malinconie del Cardinale di Richelieu), può essere considerato l’iniziatore della “diatriba degli antichi e dei moderni”, sull’importante questione se fossero meglio gli autori antichi o i moderni (vedi anche 2 febbraio). Desmarets era pro-moderno. Il capo della sua corrente fu Charles Perrault, altro classico dimenticato, scrittore di genio che, avendo scritto volumi dottissimi e ponderosi, è ricordato quasi unicamente per un volumetto di otto – diconsi otto - racconti di fate. Tutti conoscono i suoi “Racconti di Mamma Oca”, che includono Cappuccetto Rosso, Barbablù, Cenerentola etc. Consiglio nondimeno di leggere almeno una volta la versione di Perrault: si avrà qualche sorpresa.
(“Histoires, ou contes du Tems passé, Avec des Moralités”, noti anche come “Contes de ma mère l’Oye”, 1697, otto racconti, a cui solitamente se ne aggiungono tre scritti in precedenza, tra cui la storia di Griselda, per cui vedi al 28 aprile).
Nella diatriba tra gli antichi ed i moderni, Perrault si distinse per la sua cortesia, poco usuale nei dibattiti dei suoi tempi (come nei blog odierni). Aggredito furiosamente scrisse:
L’aimable dispute où nous nous amusons
Passera, sans finir, jusqu’aux races futures ;
Nous dirons toujours des raisons,
Ils diront toujours des injures.

Questa amabile disputa che ci diverte tanto
passerà inconclusa ai nostri discendenti:
noi darem sempre i migliori argomenti,
gli altri potranno insultarci soltanto.

1864 sabato. Verso metà del romanzo “André Cornélis”, di Paul Bourget, si comprende che la prima scena descritta nel libro avvenne sabato 11 giugno 1864.
Il romanzo è un camaleonte: a prima vista sembra che abbiamo in mano un giallo, poi sospettiamo una sorta di Amleto moderno, infine vediamo che tutti i romanzi o drammi che esaltano la vendetta come se fosse cosa facile come bere un bicchier d’acqua sono cose superficiali, rispetto a questo piuttosto impressionante romanzo, che – pur con qualche difetto - trasmette il suo messaggio forte e chiaro.
(“André Cornélis”, 1887, 517 Kbytes)