17 Agosto

Sezione: non-accadde/

Sardonicus dixit:”Le parole come i colori permettono astratte affascinanti alchimie che pur senza senso si adattano al vostro stato d’animo. Ne avete appena letta una.”


17 agosto

1030, lunedì. Muore in battaglia presso il castello di Falkenstein nella Foresta Nera Ernesto (II) duca di Svevia. La battaglia è il soggetto del quinto atto della tragedia “Ernesto, Duca di Svevia”, di Ludwig Uhland. Ernesto, che si è già ribellato più volte contro il patrigno, l’Imperatore Corrado II, infine non ha accettato il perdono perché questo verrebbe dato solo a condizione che lui si metta contro il suo più fedele amico, Werner di Kyburg. Non accetta il perdono neppure dopo la morte di Werner sul campo di battaglia, per non mancare alla sua amicizia. L’ultima battuta della tragedia spetta alla madre, l’Imperatrice Gisela di Svevia, che, giunta sul campo di battaglia, si consola pensando che l’amicizia di Ernest e Werner, che giacciono morti uno accanto all’altro, continuerà in un mondo migliore, e resterà come una leggenda nei cuori del popolo.
(“Ernst, Herzog von Schwaben”, 1817, 5 atti, 1988 versi) Per quanto la non lunga tragedia di Uhland sia una delle migliori del teatro tedesco dopo Schiller e Goethe, e contenga molta autentica poesia, non penso che sia frequentemente rappresentata per i suoi molti, riconosciuti difetti. Tuttavia, il tema dell’amicizia tra soldati, con accenti che si possono richiamare alle ultime parole di Gisela, viene riproposto in una brevissima poesia dello stesso Uhland. Sono quindici versi: “Avevo un compagno - Ich hatt’einen Kamaraden” (1809), accorata poesia, la, quale, musicata con triste, solenne musica di Friedrich Silcher (1825), esprime semplici sentimenti come meglio non si potrebbe ed ha accompagnato nella tomba milioni di soldati germanici. E’ forse la più nota poesia in lingua tedesca.

1799, sabato. Poco dopo l’alba una nave misteriosa entra faticosamente nella baia dell’isola di Santa Maria, sulla costa del Cile. Qualcosa è successo a bordo, ma cosa? Incomincia l’azione di “Benito Cereno”, di Herman Melville. Bel racconto avvincente, da non perdere. (“Benito Cereno”, 1855, 32000 parole, 50 pagine). Il lettore curioso può oggi accedere facilmente alla relazione originale del Capitano Amasa Delano, protagonista del racconto, inclusa nel suo libro “Viaggi e navigazioni”. Consiglio senz’altro la lettura. I fatti in realtà si svolgono nel 1804-5, la nave spagnola si chiama Tryal (invece che San Dominick) e molti particolari non concordano col racconto di Melville, che d’altronde di tanto in tanto usa le stesse parole di Delano. Tuttavia, tanto per cambiare, il racconto di Melville mi piace lo stesso e non mi irrita come tutti gli altri in cui la storia viene malmenata. C’è modo e modo di malmenare la storia. Va notato che il capitano Delano, ufficiale americano dalla testa tonda, capelli corti e bianchi, che guarda il lettore con un mezzo sorriso intelligente da un suo ritratto in litografia nel suo interessante libro, era un uomo di notevole indipendenza di opinioni. A pagina 597 osa addirittura scrivere che, essendosi personalmente informato sulla santa inquisizione a Lima si era convinto che quel tribunale “was not so terrible as has been represented - non era così terribile come è stato raffigurato”. Raro caso in un autore anglo-sassone. (“A narrative of Voyages and Travels in the Northern and Southern Hemispheres, Comprising Three Voyages Round the World ” 1817, 620 pagine).

1892, mercoledì. Data della (chilometrica) lettera che Michel Berthier riceve dallo zio Daniel Berthier-Lautrec, che lo invita a raggiungerlo in Madagascar per fare fortuna (Capo II de “Una famiglia parigina in Madagascar “, di Adolphe Badin). È il cacio sui maccheroni, perché Michel Berthier si è rovinato in borsa. Il romanzo descrive le peripezie dei Berthier prima e durante la “Spedizione “, cioè l’invasione Francese del 1895. L’autore è un giornalista che ha lasciato poche tracce nella letteratura francese. Il romanzo, oggi politicamente scorretto, può tuttavia informare sullo spirito con cui gli Europei espatriavano in terre ai margini della civilizzazione. Lo zio Daniele, didattico e logorroico e, quel ch’è peggio, animato dalle migliori intenzioni, è semplicemente insopportabile. Nell’ultimo capitolo, l’autore esce con questa battuta : “ Parlate seriamente ? Chiese Giorgio Gaulard un po’ stordito sotto il fiume di parole del vecchio Daniele “. Anche lui!
(“Une famille parisienne au Madagascar avant et pendant l’expedition “, 1897, 461 Kbytes). Bisogna dolorosamente riconoscere che non si è scritto abbastanza sull’importante tema degli “zii scapoli “ nella letteratura mondiale.