14 Ottobre 2017

Sezione: non-accadde/

Sardonicus dixit: “Fortunatamente non vediamo molte cose che è meglio non vedere”.

1663, domenica. Le commedie di Molière, soprattutto le grandi commedie, come Tartufo, l’Avaro, il Malato Immaginario, e via dicendo, descrivono tipi eterni o quasi. Trovarvi delle date ci stupirebbe, e infatti non ve ne sono. Una sera però il re concesse a Molière di presentargli a Versailles un’apologia della sua opera, per difendersi dalle accuse dei suoi nemici. È questa la genesi dello ”Improvviso di Versailles”, nella veste di prove generali per la messa in scena di una commedia davanti al re. La commedia, in undici scene, è moderna e geniale, quasi un presagio di Pirandello, in quanto vi si perde la distinzione fra personaggi ed attori (tra i quali c’è addirittura anche l’autore, Molière stesso). Insomma, per seguire questa commedia è essenziale non distrarsi.
La data canonica del 14 ottobre, però, sembra sia uno sbaglio, perché l’Improvviso fu recitato di fronte al Re, e la corte arrivò a Versailles il 15 ottobre. Dunque, molto probabilmente “non accadde quest’oggi”.
(“Impromptu de Versailles”, 1663; XI scene (di cui le ultime sei brevissime), 13 pagine, 8100 parole).

1468, venerdì. Trattato di Péronne in cui Carlo il Temerario di Borgogna spinse a concessioni Luigi XI, tenendolo praticamente in ostaggio. “I brutti giorni di Peronne e di Liegi son passati, amici miei”, dice Luigi XI nella commedia in un atto “Pierre Gringoire” di Théodore de Banville. L’azione si svolge all’incirca nel 1469, ma non vuol dire molto, perché questo dramma storico come antistoricità non scherza: Luigi XI morì nel 1483, e Gringoire nacque nel 1475-80. Del resto non è tutta colpa di Banville, perché il primo a fare quest’insalata di date fu Victor Hugo nel suo “Notre- Dame de Paris” (vedi 6 gennaio). A Victor Hugo è infatti dedicato il lavoro. Come dramma, l’elemento romantico è sovraccarico e le onorevoli reticenze di Gringoire sembrano ormai stucchevoli. Ma l’idea è buona, il dramma non manca di grazia, con un Luigi XI che non è il sadico tiranno della storia. E poi il dramma è breve. Raccomandabile.
(“Gringoire”, 1866, 1 atto).

Il trattato di Péronne, la prigionia di Luigi XI e il curioso episodio del suo astrologo Marzio Galeotti, che prevede destramente il giorno della propria morte, occupano diversi capitoli di “Quentin Durward”, di Walter Scott (vedi 30 ottobre). Purtroppo Marzio Galeotti di Narni non fu mai al servizio di Luigi XI, contro il desiderio di entrambi. Una versione della sua morte è che quando incontrò il re per la prima volta, scese così precipitosamente da cavallo che si ruppe il collo – pessimo modo di morire, soprattutto per un astrologo. Ciò sarebbe avvenuto a Lione nel 1476. Fortunatamente, la stessa previsione è da altri attribuita al medico di Luigi XI, Jacques Coytier, il quale si sarebbe poi ritirato in campagna, lontano dal suo pericoloso paziente, ed avrebbe piantato un albicocco nel suo giardino (albicocco = abricotier = riparo (abri) di Coytier). Questo aneddoto, apocrifo, è raccontato in un’opera in ventun volumetti di piacevole lettura, “L’improvvisatore francese”, scritta da Louis Sallentin de l’Oise per aiutare i begli spiriti ad eccellere nella conversazione. I maligni dicevano che fosse l’unico breviario che il vescovo Talleyrand leggesse.
(“L’Improvisateur Français”, 1804, XXI volumi di circa 400 pagine ciascuno, 200 parole per pagina).

1753, domenica, a tempo dei vespri – Alla corte di Madrid si terrà una funzione religiosa in onore di Santa Teresa (che per una strana coincidenza morì intorno a mezzanotte tra il 4 e il 15 ottobre 1582). Il lungo invito (citato al Capo I, libro VI della “Storia del famoso predicatore fra’ Gerundio da Campazas, detto Zotes” di José Francisco de Isla) è una burla, che si prende gioco dell’oratoria sacra del tempo. La satira di questa oratoria ormai rococò, più che barocca, che poi si trasforma in ipocrisia, avendo da tempo troncato i legami tra quel che si può dire e quel che si deve fare, è l’esile tema del romanzo, un autentico pezzo di bravura, ma lunghissimo. Poiché non vi si menzionava l’ordine religioso di cui faceva parte Frate Gerundio, tutti gli ordini meno uno ebbero modo di offendersi per la satira. L’autore è un Gesuita, che scriveva questo acuto libro di spirito mentre sulla Compagnia si allungava l’ombra della soppressione. Il libro, la cui prima edizione di 1500 copie si era esaurita in tre giorni, finì all’Indice fin dal 1760, e ne furono proibite la lettura e la discussione. Solo curiosità, interesse a conoscere un mondo del passato visto da un punto di osservazione ormai impensabile, nonché una buona dose di cultura possono rendere addirittura irresistibile questo libro per il lettore moderno.
(“Historia del famoso predicador fray Gerundio de Campazas alias Zotes”, 1758-1770, due parti di tre libri ciascuna, quasi 1000 pagine).

Sembra ci sia stata un “internazionale degli scherzi da dormitorio”. Nel capitolo X, libro I del Frate Gerundio viene citato il simpatico scherzo di legare una cordicella all’alluce della vittima e tirarla durante il sonno, mentre i compagni fingono di dormire. Non è immediato escogitare un giochetto del genere (estremamente doloroso) se non viene in soccorso la tradizione. L’identico scherzo viene descritto col nome di “esser preso prigioniero – to be taken prisoner” al Capo XXIV di “St. Winifred’s” (1862), di Frederic Farrar, anche troppo edificante romanzo sui collegi (public schools) inglesi, scritto da una buona persona, come tutti gli apocatastatici. Leggendo la vita del “Decano Farrar - Dean Farrar” si sente profondamente che cosa fu per centocinquant’anni l’Impero Britannico: tra le altre cose Farrar nacque a Bombay, vinse il premio di poesia a Cambridge, era nonno del maresciallo Montgomery, eroe britannico della seconda guerra mondiale.
(“St. Winifred’s, or the world of school”, 1862, 336 pagine).