21 Novembre

Sezione: non-accadde/

Sardonicus dixit: “Gli elettori sono convinti che chi sa promettere di più saprà meglio mantenere le promesse. Curioso che continuino a crederci da migliaia d’anni.”


21 novembre

1783, venerdì, ore 13:00, Primo volo umano su pallone libero ad aria calda ideato dal “Signor di Montgolfier”. I passeggeri furono Jean-François Pilâtre de Rozier e il marchese François-Laurent d’Arlandes. Il re aveva tentato di vietare il volo, preferendo due volontari, condannati a morte . Poi cedette. Vincenzo Monti, colpito come tutti dall’evento che oggi può sembrare da poco, ma apparve allora veramente straordinario, scrisse una delle sue odi più note, se non più belle, celebrando il trionfo della scienza (un’alleanza o almeno una tregua tra le “due culture”).
(“Al signor di Montgolfier”, 1784, 140 versi).
Nel suo entusiasmo celebrativo, Monti fu alquanto impreciso. “Il signor di Montgolfier” erano in realtà due fratelli (Étienne e Joseph), nessuno dei quali era sulla mongolfiera. Più avanti si cita un Robert, che ancora una volta erano due fratelli (Anne-Jean e Nicolas-Louis). Volarono il 1 dicembre, con il fisico Jacques Charles, su un pallone riempito di idrogeno, sfidando il divieto del re.
Gli ultimi versi dell’ode del Monti ricordano il detto della vedova del maresciallo Villeroi: “Sì, adesso è certo! Finiranno con lo scoprire il segreto di non morire più. E sarà quando io sarò morta! - Oui, c’est certain maintenant ! Ils finiront par découvrir le secret de ne plus mourir. Et c’est quand je serai morte !”
Da notare che il 19 settembre, in presenza del re a Versailles, avevano già volato in apposito cestone di vimini un montone, un’anatra e un gallo. I coraggiosi viaggiatori sopravvissero e il montone ebbe un’onorevole pensione al serraglio reale.
Nell’incipit dell’ode, il celebrato “Quando Giason dal Pelio”, Monti paragona i primi che navigarono in cielo ai primi che navigarono in mare, i quali secondo il mito greco furono gli Argonauti. Curiosamente, se un poeta ovino avesse voluto celebrare l’intrepido montone avrebbe probabilmente iniziato la sua ode con lo stesso mito, perché gli Argonauti andavano a riprendere fin quasi sotto il Caucaso il vello d’oro di un meraviglioso ariete volante (attualmente collocato fra le stelle), che aveva portato a volo da Orcomeno in Beozia Elle e Frisso, i due gemelli perseguitati dalla matrigna Ino. Le due imprese, quella dell’ariete dal vello d’oro e quella degli argonauti, furono cantate da uno dei maggiori poeti ellenistici, Apollonio di Rodi, nel suo poema, “Le gesta degli Argonauti”. Il poema ci è pervenuto intero ed è una miniera di informazione mitologica, anche perché sulla nave Argo c’erano tutti gli eroi greci della generazione precedente alla guerra di Troia e qualcuno in più. Non sono però così incosciente da consigliare la gita ad escursionisti senza esperienza. Il primo libro, che include 200 versi di elenco e genealogie degli Argonauti, è forse il più faticoso. Magari, se si supera quello incolumi… Vale sempre la pena leggere nel libro IV il passo assorto in cui Giasone entra nel bosco sacro accompagnato da Medea e si impossessa del vello d’oro.
(“Ta Argonautikà”, III sec. aC, IV libri, 6000 versi esametri).
Più dubbioso sul fatto che il pallone aerostatico fosse un reale progresso, un altro poeta Italiano, maggiore del Monti, scrisse alla fine del Settecento un sonetto in cui chi parla è il Pallone Aerostatico (titolo della poesia di Giuseppe Parini). Il quale Pallone, rivolto alla Natura, conclude che se l’invenzione non deve render l’uomo felice, è meglio che tutto finisca lì: “…. Fa ch’io splenda - Sol di stolta impotenza eterno segno.”. Sorge la domanda su come sia poi finita, cioè se l’uomo sia più o meno felice grazie al pallone aerostatico. Probabilmente né l’uno né l’altro.

1878, giovedì. Presa del forte Ali Musjid, nelle guerre Afghane, una delle campagne a cui partecipò Kala Nag, l’elefante protagonista, insieme a Toomai, del racconto “Toomai degli elefanti”, di Rudyard Kipling. Si tratta di uno dei racconti annessi al “Libro della Jungla” (il primo). Kipling è un ottimo scrittore ed un ottimo poeta, politicamente non corretto, perché lui ha in mente l’Impero Britannico, le sue glorie, la sua missione civilizzatrice e i suoi soldati.
Mentre alcuni racconti, e forse la totalità di quelli che costituiscono il nucleo dei due libri della jungla, sono evidentemente per bambini o ragazzi, altri non lo sono. Secondo me, il racconto “I beccamorti – the Undertakers” è un capolavoro per qualsiasi età. E lo stesso irreale racconto “Toomai degli Elefanti” ha questa gemma: “L’aria era piena di tutti i rumori della notte che, presi insieme, fanno un solo grande silenzio”. In quanto poi alla poesia “Lukannon”(1), in appendice al racconto “Kotik, la foca bianca”, aggregato al (primo) Libro della Giungla, credo che si tratti della più forte affermazione conservazionista del XIX secolo, e a tutt’oggi della più poetica.
(“The Jungle Book”, 1894, 291 Kbytes).
(“The Second Jungle Book”, 1895, 365 Kbytes).
(1) Lukannon o Lukanin è una grande spiaggia sulla riva SE dell’Isola San Paolo, la maggiore delle isole Pribilof, nello stretto di Behring, dove le foche solevano accoppiarsi e mettere al mondo i loro piccoli. In seguito avveniva annualmente il grande massacro. Dal 1980 il massacro è terminato.