“Quanto più uno si crede intelligente, tanto più si ritiene in diritto di essere anche maleducato” (DE)
29 gennaio
1688, sabato. Nasce Emanuele Swedenborg (nato Swedberg), strana figura di poligrafo, scienziato, tecnologo, teologo, mistico, veggente che influenzò fortemente la cultura del primo Ottocento. Non fondò alcuna chiesa, ma esiste tuttora più d’una “società” che si rifà al suo pensiero. La biografia di Swedenborg (in cui però vengono menzionati solo il mese e l’anno di nascita) insieme ad un riassunto più o meno fedele delle sue dottrine viene raccontata nel capitolo III di uno dei più strani romanzi di Balzac, “Seraphita”. Strano Swedenborg, strano il romanzo, ancor più strano il protagonista, l’androgino Seraphita/Seraphitus, il quale, essendo androgino, sarebbe “l’essere totale”. Amato da Wilfrid ( in quanto donna) e da Minna (in quanto uomo), e incline a sperimentare l’amore perfetto a tre, tuttavia abbandona Wilfrid e Minna sulla Terra nell’ultimo capitolo. E’ questo un insolito Balzac prolisso, declamatorio, misticheggiante, altisonante, e finalmente noioso, da leggersi solo su perentoria prescrizione medica. Ma non escludo che possa tornare di moda e diventare il Balzac del futuro. Tutto è possibile, a questo mondo.
(“Séraphîta”, dagli “Studi Filosofici”, pubblicato dapprima a puntate nel 1834, 322 Kbytes).
Nell’abbondantissima produzione scritta di Swedenborg l’opera “De Telluribus Universi – I mondi dell’universo” non è certamente la più importante. E’ tuttavia forse la più discussa oggi, immagino perché l’autore, nel suo viaggio cosmico, descrive solo i pianeti del sistema solare noti al suo tempo (quindi niente Urano e Nettuno). E’ interessante, inoltre, per le descrizioni che il veggente ci regala dei loro abitanti, che Balzac riporta più o meno fedelmente, come ad esempio:”… ceux de la Lune sont petits comme des enfants de six ans, leur voix part de l’abdomen, et ils rampent – quelli della Luna sono piccoli, come bambini di sei anni, la loro voce parte dall’addome, e strisciano”.
1837, venerdì (vecchio stile). Aleksandr Pushkin muore due giorni dopo il duello con Georges d’Anthès. La morte di Pushkin è un evento cruciale della letteratura russa.
“Quel reazionario gli ha sparato addosso, gli ha rotto un femore e gli ha assicurato l’immortalità”, così medita rabbiosamente davanti al monumento a Pushkin il poeta di regime Rjukhin, tornando dall’aver accompagnato il poeta Bjezdomnyj, impazzito, in manicomio. Siamo al capitolo VI de “Il maestro e Margherita”, di Mikhail Bulgakov. Vedi 30 aprile.