6 Febbraio

Sezione: non-accadde/

Sardonicus dixit “ L’inattività di certi uffici è di tali dimensioni che occorre un adeguato personale per realizzarla”


6 febbraio

1740, mercoledì, nuovo stile (?). Nozze del principe Mikhail Aleksejevich Galitzin “il clown” con Avdotia Ivanovna Buzheninova nel “palazzo di ghiaccio”, come punizione inflittagli dall’Imperatrice Anna Ioannovna di Russia, che aveva fatto costruire il palazzo per celebrare il decennale della sua incoronazione, 8 febbraio 1730 (nuovo stile; 29 gennaio nel vecchio stile).
L’edificio fu preso come esempio dei capricci della tirannide.
Viene citato in almeno due opere letterarie:
1) “Ca ira”, non però quello di Carducci, ma quello di Ferdinand Freiligrath, del 1846, ciclo di poesie rivoluzionarie. Il palazzo, al cui interno è primavera, simbolizza il gelo e la fragile artificialità della tirannide, destinata a crollare nei flutti della Neva (rispettabile predizione). L’epilogo della raccolta è intitolato “Il Cavallo – der Springer”, il pezzo degli scacchi, che rappresenta l’imprevedibile poeta, che salta di qua e di là sulla scacchiera del mondo. Nessuna mossa del destino gli può dare scaccomatto, lo scaccomatto è solo per il Re.
(“Ca ira! – Sechs Gedichte”, 1846, sei poesie, circa sessanta pagine).
2) “il palazzo di ghiaccio”, di Ivan Lazhjecnikov, in cui la storia viene romanzata ed i nomi sono cambiati. È questo uno dei primissimi romanzi storici russi, con una forte descrizione dell’imperatrice Anna, che era quanto meno un bel tipo.
(“Ledjanoj dom”, 1835, 723 Kbytes).


1850, mercoledì. Violenta eruzione del Vesuvio. Il Papa Pio IX l’osserva da Portici, dove è esule. Con questo episodio incomincia il romanzo “L’Ebreo di Verona”, di Antonio Bresciani, SJ. Il romanzo è la cronaca di circa cinque anni della vita di Roma (con qualche escursione negli stati vicini, e una puntata in Svizzera) dal 1846 al 1850. Persino Aser, l’Ebreo di Verona, diventa un personaggio di secondo piano davanti al fenomeno del “Quarantotto”, che l’autore vede e descrive come una catastrofe da cui ci si è salvati quasi per miracolo. Scrisse Bresciani nel 1850, quando credeva di poter tirare un respiro di sollievo davanti alla fine della Repubblica Romana. Morì nel 1862, abbastanza presto da non vedere la presa di Roma e tutto il resto. Si può leggere come una interessante curiosità questo romanzo apertamente reazionario, documento storico abbastanza raro che rappresenta la maggioranza degli Italiani, cioè i pochi che avversarono decisamente il Risorgimento ed i molti che stettero a guardare. Questa maggioranza si sfogava comprando romanzi, tra cui l’Ebreo di Verona, di cui furono fatte diverse edizioni in breve tempo. Oggettivamente questo romanzo non era un capolavoro, ma si soffermava con dovizia di particolari precisamente sugli episodi del Risorgimento che molti ancora ricordavano e che i vincitori avrebbero preferito dimenticare. Vengono quindi lodati Pio IX, i gesuiti, i Borboni di Napoli, gli Austriaci e addirittura i Croati, i quali ultimi per la propaganda liberale erano il peggio del peggio. Contrariamente a quello che si potrebbe pensare dal titolo, gli Ebrei come popolo non sono l’obiettivo principale degli strali del Padre Bresciani, che li nomina in tutto un paio di volte in ottocento pagine, peraltro con scarsa simpatia. D’altronde l’eroe, Aser, viene dipinto come dotato di tutte le possibili virtù umane anche prima dell’inevitabile (doppia) conversione. La critica liberale andò su tutte le furie, da Francesco De Sanctis a Benedetto Croce, affermando che il romanzo non aveva alcun valore letterario. Antonio Gramsci vide invece in Bresciani una sorta di caposcuola, sia pure di una scuola per lui spregevole, ed a cui iscrisse d’autorità i suoi avversari letterari. Dunque De Sanctis pubblicò nel 1855 una stroncatura che si può leggere tuttora per concluderne che è ben difficile giudicare oggettivamente la forma di scritti di cui si detesta la sostanza. Ma tutto è ormai passato: il tempo ha travolto il Padre Bresciani e sta inviando a fargli compagnia nel comune dimenticatoio anche i suoi critici.
(“L’Ebreo di Verona - Racconto storico dal 1846 al 1849”, comparso dapprima a puntate su “Civiltà Cattolica” nel 1850-1851, 800 pagine).
(“Saggi Critici: L’Ebreo di Verona del Padre Bresciani”, 1855, 30 pagine).