Sardonicus dixit: “Spesso per avere un futuro occorre inventarsi un passato.”
12 agosto
30 bC, suicidio di Cleopatra, con cui termina la tragedia Antonio e Cleopatra, di William Shakespeare. Oltre alla tragedia di Antonio e di Cleopatra, termina anche la storia della civiltà dell’Egitto, con la sua infinita serie di re, che di fatto finì con Cleopatra. E questo è messo in luce dalla risposta dell’ancella morente Charmian, citazione di Plutarco, alla domanda del soldato di Ottaviano che costernato le chiede:”Che è successo qui? Charmian, ti pare che sia ben fatto tutto questo?”… (Atto 5, scena 2).
(“Anthony and Cleopatra”, probabilmente composta nel 1603-1607, stampata nel First Folio del 1623, 5 atti)
Orazio (Quinto Orazio Flacco) scrisse una sua famosa ode sul prediletto modello greco di Alceo, quando in Roma arrivò l’annuncio della morte di Cleopatra “Ora bisogna brindare … - Nunc est bibendum…” (Carmina, I. 37). Bisognerà festeggiare, ma anche dai versi di Orazio trapela una certa ammirazione per Cleopatra, “non humilis mulier – donna non da poco”.
(“Carmina”, i primi tre libri pubblicati nel 23 e il quarto libro nel 13 aC, 103 carmi in tutto).
A questa insigne tragedia si rifà un’altra, assai più umile, la “Commedia dei maggiolini”, di Joseph Viktor Widmann, nel suo secondo “Intermezzo epico”, in cui un bambino per gioco costruisce una nave di petali di tulipano, prende una farfalla gialla che dovrà giocare il ruolo di Cleopatra e….L’ammaestramento sembra essere che la vita va rispettata in tutte le creature. Ma più alto, anche se mai esplicitato, è il parallelo che corre attraverso l’intera tragedia, tra le brevi imprese dei maggiolini (che tra l’altro hanno un loro re - “der König”- che morirà nobilmente nell’ultimo atto, quando quasi tutti i maggiolini avranno ormai compiuto il loro ciclo vitale di pochi mesi) e le illusioni e le vane imprese del genere umano.
(“Maikäferkomödie”, 1897, 212 pagine).
—
1506, mercoledì. Si conclude la congiura di Giulio e Ferrante d’Este contro il duca Alfonso ed il fratello Ippolito. I due vengono portati davanti al patibolo, e qui, all’ultimo momento, Alfonso li grazia, commutando la pena di morte in quella del carcere a vita (non è un romanzo, questo. È storia. E non è neppure un caso unico). Ferrante morì in carcere dopo 36 anni e Giulio fu liberato dal nipote nel 1559. Il poeta Ariosto ebbe pietà dei prigionieri e nel 1506 scrisse una “Ecloga” in 292 versi, in cui, con pseudonimi e sotto velo pastorale descrisse la congiura. Interessante lettura. Intercedette per loro anche nel canto III, strofe 60-62 dell’Orlando Furioso, ma Alfonso non si lasciò piegare. Mal gliene incolse: le tre strofe resteranno come monumento alla sua crudeltà fino a che si leggerà il Furioso. E fino a quando lo si leggerà? Il poema è lungo, ma è vario, facile da leggersi, brillante, pieno di trovate, con versi che rimangono nella memoria perché non si potevano dire meglio. Non deve spaventare: è una lettura raccomandabilissima, che ci fa entrare diritti nelle corti del Cinquecento, insieme al Cortegiano, al Principe, al Galateo, ai Ricordi di Guicciardini.
(“Orlando Furioso”, prima edizione 1516, edizione definitiva 1532, XLVI canti in ottave, 38736 versi).
—
1761, mercoledì. Cattura a Venezia dell’Avogadore Angelo Querini che viene incarcerato al Castelvecchio di Verona per aver cercato di limitare i poteri del Consiglio dei Dieci. Il fatto (che non è privo di importanza nel resto della vicenda) è menzionato all’inizio del lungo racconto pseudo-storico “Andrea Delfin”, del tedesco Paul Heyse, che come quasi tutti gli autori dell’Ottocento, anche italiani, esagera alquanto gli aspetti tirannici del governo di Venezia. Heyse fu premio Nobel nel 1910 e lasciò diversi scritti, poesie, racconti, romanzi, drammi. Fu considerato il miglior poeta tedesco fin dai tempi di Goethe. Come molti Germanici, ebbe una particolare simpatia per l’Italia. Un altro esempio, oltre all’Andrea Delfin, improbabile feuilleton ottocentesco di ambiente veneziano, è “L’arrabbiata” (titolo originale), che invece si svolge tra Capri e Sorrento - un breve e simpatico racconto senza date, ma assai superiore, a mio parere, all’Andrea Delfin, e di cui consiglio senz’altro la lettura. Di male non ne può fare.
(“Andrea Delfin”, 1862, 200Kbytes)
(“L’arrabbiata”, 1852, 50 Kbytes)
Gran parte della leggenda nera su Venezia fu originata oltr’Alpe, perché i Francesi avevano la coscienza sporca per aver aggredito e distrutto un’altra Repubblica. È vero, era una repubblica aristocratica, ma sfortunatamente tutte le repubbliche, anche le più democratiche, tendono a diventare repubbliche aristocratiche. Come è noto, quando i Piombi furono liberati, vi si trovarono in tutto sette prigionieri, nessuno per reati politici, tanti quanti alla liberazione della Bastiglia. Nessuno fu trovato nei famigerati Pozzi. Non molti, né gli uni né gli altri, per due regimi così tirannici. Chi voglia avere un resoconto chiaro degli aspetti storici della vicenda dell’Avogadore Angelo Querini, può trovare un’esauriente relazione al Capo IV, libro XVII della monumentale “Storia documentata di Venezia” (dieci volumi, stampati tra il 1853 e il 1861), di Samuele Romanin, uno dei generosi che intraprese lo sforzo di difendere la reputazione della Repubblica, che, distrutta, ormai non poteva più difendersi.
—
“Ma la fine del mondo non doveva arrivare, come non doveva arrivare il dodici agosto - But the end of the world was not come, any more than the twelfth of August was”. Commento paradossale tratto dal libro “I bambini acquatici”, del reverendo Charles Kingsley, favola moralistica in puro stile vittoriano, in cui, attraverso varie allegorie, viene raccontata l’educazione (in mancanza di parole più adatte) del piccolo spazzacamino Tom caduto nel fiume, di cui non si capisce bene se sia annegato o no. Il tono è accondiscendente, cosa che quando avevo io l’età dei lettori a cui il libro è rivolto, mi irritava oltre ogni dire. Tutto sommato il libro merita la sua posizione di ex-bestseller, oggi dimenticato. E’ una curiosità vittoriana, destinata soprattutto a chi ama quel periodo storico, ed è disposto a digerire le opinioni dell’autore su cattolici, ebrei, negri, irlandesi e americani.
(“The Water Babies, a Fairy Tale for a Land Baby”, 1863, 376 Kbytes).
—
Data di “servizi resi” dal Capitano Wilson, per cui la Señora Alforgas de Cuzman (sic) gli lascia nel suo testamento mille dobloni in oro. Il Capitano non ha la minima idea di quali siano tali servizi, ma lo sa il lettore de “Il guardiamarina Easy”, una delle più note opere di Frederick Marryat. E’ la storia di un ragazzo ricco, cocciuto, ed allevato su principi egualitari, il quale per errore di valutazione si arruola su una nave da guerra a quattordici anni. Il ragazzo però non è cattivo, non è uno sprovveduto ed è decisamente fortunato. I primi capitoli, in cui i principi egualitari vengono applicati senza discernimento, sembrano usciti dalla penna di Voltaire. Marryat fu un precursore nello scrivere avventure di mare, e non solo di mare, per giovani e meno giovani. Personalmente era un valoroso, che salvò almeno tre marinai dall’annegamento in occasioni diverse e compì altre azioni notevoli, facendo della sua vita un romanzo di avventure. Tuttavia, anche se taluni episodi e tipi che compaiono ne “Il guardiamarina Easy” sono chiaramente tratti dalla vita dell’autore, non si può parlare di un’autobiografia, sia pure romanzata. Più vicino ad un’autobiografia è il “Frank Mildmay” (1829), suo primo romanzo, che proprio per l’apparenza autobiografica costò all’autore critiche su critiche. Non gli costò certamente critiche nel suo Paese la tetra rappresentazione di maniera della Chiesa Cattolica, che a mio parere non rende migliori i suoi libri. E’ tuttavia raro trovare un autore che abbia scritto libri per bambini, ragazzi e uomini maturi, leggibili ancor oggi.
(“Mr. Midshipman Easy”, 1836, 778 Kbytes).
—
Data della lettera XXVIII del Werther, citata indirettamente nel “Viaggio intorno alla mia camera”, di Xavier de Maistre (vedi 16 ottobre).