LÜ BUWEI, IL “PADRE” DEL PRIMO IMPERATORE - visione confuciana del loro arci-nemico, di Sima Qian

Date: 24 May 2021 - Sezione: umanistiche/storia/

Quando vivevo in Giappone (anni 1981-1989), uno dei miei più cari amici era il Prof. Luigi Polese Remaggi, che io chiamavo Luigino. Era coltissimo, un sinologo – yamatologo famoso, anche se non credo abbia lasciato nulla di scritto. È raro trovare uno studioso egualmente versato in cultura cinese e cultura giapponese. Magari uno ci si prova con entrambe e poi sceglie quella in cui riesce meglio, riservandosi per lo più di dire che la cultura scartata è meno interessante. Non così Luigi Polese, che, per quanto soprattutto noto come Yamatologo, coltivava anche l’assai più antica e imponente cultura cinese, quasi di nascosto. Membro dell’Istituto di cultura a Tokyo, non aveva alcuna carica accademica in Italia, benché la sua fama fosse alta nei circoli specializzati. Un suo amico mi disse: “Al limite, basterebbe che ci desse un foglio di carta bianca con la sua firma, e potremmo costruirgli una carriera accademica”. Mi ricordava molto il matematico Gauss, il princeps mathematicorum, che pubblicò solo una minima parte dei risultati delle sue ricerche, perché voleva che ogni suo lavoro che portasse il suo nome fosse perfetto. Per il resto, gli bastava essere soddisfatto delle sue ricerche. Il mio amico Luigino fece di meglio: almeno fino a quando non lo lasciai in Giappone, non pubblicò – per quanto ne so - nulla. Le sue stesse parole lo avevano condannato a non pubblicare niente: avrebbe pubblicato solo studi perfetti, ma diceva che il Giappone gli piaceva perché si scopriva sempre che qualcosa non lo si era capito. Su questa base, come avrebbe potuto pubblicare uno studio perfetto, sinonimo di compiuto? Molti studiosi di lingue orientali più giovani lo venivano a cercare fino in Giappone sperando che lui desse loro qualche grano di saggezza. I più audaci gli proponevano di scrivere qualcosa insieme. Lui dava abbondanti grani di saggezza, ma non accettava mai di scrivere qualcosa.
A quel tempo ero addetto scientifico all’Ambasciata d’Italia, ed ero invidiatissimo da molti, perché lo vedevo assai sovente. Veniva spesso a casa mia, e insieme andavamo, per esempio, a visitare cimiteri giapponesi. Infatti, taluni cimiteri sono tutto quello che è rimasto di un Giappone ormai remoto nel tempo. I Giapponesi non credono molto nelle rovine storiche. Un Colosseo sarebbe quasi inconcepibile: in molti luoghi illustri resta solo un pilastrino giallo del Ministro della Pubblica istruzione che dice (per esempio): “Qui c’era la dimora dei cristiani” (quella del libro “Il silenzio” di Endo Shusaku.) Le tombe primitive dei 47 Ronin (oggi sepolti tutti insieme al Sengaku-ji) sono dimenticate a gruppi in viuzze oscure, ad eccezione del cippo che li ricorda nel giardino dell’Ambasciata d’Italia. Ricordo ancora un gatto una sera, sullo sfondo di una luna nascente, che ci guardava pigramente dall’alto di un muro di un ennesimo cimitero. Un’altra volta, in un cimitero sotto la pioggia autunnale, il Prof. Polese mi indicò la tomba della balia di Tokugawa Ieyasu. Una chicca.
Ma qui voglio parlare di Luigi Polese a riguardo della Cina. Era ammirato del fatto che io avessi acquistato lo Shiji di Sima Qian e mi ripromettessi di leggerlo un giorno, pur conoscendo assai poco il Cinese. Faticai moltissimo a tradurre le prime righe. Lui mi disse: “Incomincia piuttosto con una storia breve e interessante, per esempio la storia di Lü Buwei, che non è troppo difficile”. Vedendo i miei vani sforzi, una sera venne a casa mia e me ne raccontò e tradusse parzialmente il contenuto. Venni così a conoscere questo notevole personaggio cinese, la cui figura è indissolubilmente legata a quella dell’Imperatore Shi Huangdi, quello che si diede nome di “Primo Imperatore” (c’erano state poi solo tre dinastie prima della sua, per quasi duemila anni, e una settantina di imperatori). Era anche lo stesso imperatore della Grande Muraglia (ma ne esistevano già centinaia di miglia fatte costruire nel corso dei secoli durante il periodo degli “Stati Combattenti”); era quello dell’esercito di terracotta presso la sua ancora inviolata tomba nel Monte Li, a Xian. Ma questo imperatore aveva commesso un grosso peccato: aveva perseguitato i filosofi e studiosi confuciani, bruciandone i libri nel 213 aC (l’idea, veramente, era stata del suo primo ministro, Li Si), e seppellendone vivi circa 460. Per duemila anni non fu perdonato, e i confuciani, che in generale furono i curatori delle storie dinastiche cinesi, opera mastodontica, ne annerirono coscienziosamente la fama (che doveva già essere piuttosto nera di suo) per duemila anni. Recentemente il Primo Imperatore ha avuto una sorta di revival: ma no, era un buon imperatore, che fece grandi cose e certo non ammazzò 460 confuciani. Figuriamoci! Qualcuno ne parlò al Presidente Mao, che rispose irritato di aver fatto cento volte meglio di Shi Huangdi, e si vantò di aver liquidato circa 46000 intellettuali nel corso della Rivoluzione Culturale. Questo commento rende a parer mio del tutto credibile la storia degli studiosi liquidati da Shi Huangdi. Da un punto di vista cinese erano addirittura pochi.
Ma una delle storie che furono credute fino ad oggi (oggi si va a cercare il pel nell’uovo, e poche parole di difficile interpretazione nell’opera di Sima Qian vengono trasformate in una dimostrazione che la storia che sto per raccontare non era vera, come se Sima Qian, l’Erodoto-Tucidide cinese, potesse contraddirsi così platealmente) era quella che Shi Huangdi non fosse legittimo discendente dei re di Qin, ma suo padre fosse proprio Lu Buwei, un mercante (cioè un praticante di una delle professioni più disprezzate dai confuciani). Tuttavia occorre riconoscere che Lü Buwei, spregevole o non spregevole, che fosse o che non fosse padre del Primo Imperatore, quasi certamente cambiò la storia della Cina.
Insomma, questa storia, dopo più di trent’anni, l’ho finalmente tradotta, e la dedico al mio insigne amico Prof. Luigi Polese Remaggi, che morì il 26 gennaio dell’anno 2000, a sessantasei anni, e m’insegnò, in pratica, tutto quello che so della Cina.

NOTA PER L’UTILIZZAZIONE
Come per tutti gli altri files, consiglio di cliccare sull’icona che si trova immediatamente di sopra al riquadro del file che avete scelto, sulla sinistra. Essa permette di avere l’intero post in un unico file .pdf (niente pagine da voltare). Così, l’aspetto del file (testo, disegni etc.) può anche essere ingrandito con i mezzi resi disponibili da Acrobat. Si possono anche fare ricerche testuali. Infine, in questa forma il file può essere scaricato comodamente, per chi proprio lo voglia.


/