Il diario giapponese “Diario di Sarashina - Sarashina Nikki” incomincia nel 1021, giorno 3 (taian della settimana classica rokuyo di sei giorni) della “nagatsuki” (lunga luna, cioè nono mese), che corrisponde probabilmente al 17 ottobre 1021. In questo giorno la protagonista tredicenne si mette in viaggio verso la corte di Heian (Kyoto), dove era nata e dove desiderava ardentemente vivere… e avere l’opportunità di leggere romanzi, come per esempio il Genji Monogatari (vedi 15 luglio).
Il diario della “figlia di Sugawara Takasue”, dama di compagnia a corte, non è propriamente un diario. La direi piuttosto un’autobiografia basata su diari e frammenti di diari dell’autrice. Il testo si distingue fra gli altri dell’epoca per i suoi resoconti di viaggi e pellegrinaggi e la sensibilità per gli spettacoli naturali, ritratti con vive luci e colori. La forte e triste personalità dell’autrice è felicemente descritta, anche nelle relazioni con i famigliari, soprattutto col padre. Della sua vita di donna sposata quasi non fa parola, ma la morte del marito, come parte del mondo dell’impermanenza Buddhista, non potrebbe essere trattata con mano più delicata.
La lettura di questa breve opera, come delle altre del genere, è illuminante, perché mostra sorprendenti somiglianze e differenze tra la nostra e una civiltà remota, ispirata a quella Cinese – ma solo fino ad un certo punto. E il Giappone che conosciamo oggi è ancora più dissimile dalla corte di Heian di quanto non lo siamo noi: le donne avevano allora un prestigio letterario ineguagliato in seguito, lo shogun era semplicemente un generale, non c’erano grandi feudi né samurai, né stampe giapponesi, né il dramma Noh, né gli haiku e neanche il saké limpido. Come ambiente, immaginiamo una corte di Versailles circondata da una Francia bella e selvaggia, ma assai più arretrata e senza un’Europa tutt’intorno a cui far guerra.
Eppure….
(“Sarashina Nikki”, secolo XI, 86 Kbytes).
Sarashina non è il nome della dama, che resta sconosciuto, ma di una regione neppure menzionata nel testo. A dire il vero non si sa bene perché sia stato scelto proprio quel nome invece di un altro, come titolo di questo diario. Se fossi costretto a fare un’ipotesi direi che il nome viene dalla quart’ultima poesia dell’autrice riportata nel diario, scritta al nipote quando era ormai vedova e abbandonata da tutti. La poesia riguarda il monte Obasute (“(Monte de) la zia abbandonata”): “Non c’è luna, l’oscurità aumenta intorno al monte Obasute. Perché sei venuto? Non può essere per contemplare la luna”. Il poeta Matsuo Basho, nel suo “Viaggio a Sarashina – Sarashina kiko” (1688), dedica al monte Obasute uno haiku:“Una vecchia che piange da sola – sua compagna è la luna”, che forse nelle sue intenzioni era idealmente indirizzato alla nostra poetessa, che quindi (sempre secondo me) da allora sarebbe stata identificata con “La signora di Sarashina”. Il nome del diario risulterebbe così da un dialogo tra poeti attraverso il tempo.
“Il 17 ottobre dell’anno 1528, nella città di Napoli, in casa dei duchi di Tremoli(1), Michele Antonio, undecimo marchese di Saluzzo, capitano generale delle armi francesi nel reame, (IL CAPITAN DELLA COMPAGNIA …) mortalmente ferito … all’assedio di Aversa (..L’E’ STA’ FERITO E STA PER MORIR..)…fatti chiamare al letto di morte i suoi più fidati compagni d’arme (…E MANDA A DIRE AI SUOI ALPINI - CHE SE LO VENGANO A RITROVAR…) …dettava in loro presenza il testamento…”. Così, con mie interpolazioni, Costantino Nigra nel suo molto dotto, ma leggibile, libro “Canti popolari del Piemonte”, spiegando l’origine, per lui assolutamente certa, di uno dei più celebri canti degli Alpini, il “Testamento del capitano”, che per lui è ancora “Il testamento del marchese di Saluzzo” (canto n.136 della sua raccolta). Nel documento legale originale, riguardo al corpo, viene solo detto che dovrà essere sepolto nella chiesa di San Bernardino a Saluzzo. Questo desiderio rimase insoddisfatto. La tomba del valoroso Michele Antonio, con lapide di Vincenzo Parpaglia e busto ad opera di G.B. Desio, è nella Basilica di Santa Maria in Aracoeli, sul Campidoglio, per chi la voglia andare a vedere.
(“Il testamento del capitano”, 1528, 10 doppi novenari nella versione preferita dal Nigra).
Per il Nigra, che pubblicò il suo saggio nel 1858, questo canto era forse soltanto una curiosità di letteratura popolare minore. Certo non potè leggere nel futuro e prevedere quante volte questo canto, opportunamente modificato, sarebbe stato tristemente cantato nei cento anni che seguirono.
(1) Penso si tratti di Termoli.
Lunedì, primo giorno di scuola del libro Cuore, di Edmondo de Amicis. Quindi l’anno era probabilmente il 1881. Vedi 26 ottobre.