Sardonicus dixit: “Avessimo almeno il culto della nostra personalità!”
11 dicembre
1602, sabato. Nella notte tra l’11 e il 12 dicembre Carlo Emanuele I di Savoia tentò senza successo di conquistare Ginevra aggredendo la città di sorpresa nella notte, con scale a pioli appoggiate alle mura. Il tentativo fu battezzato “L’Escalade” e a Ginevra se ne celebra ancora il ricordo. Tra gli altri l’Escalade è ricordata nell’ “Emilio” di Jean-Jacques Rousseau, libro II, come esempio della non necessità di forzare i bambini a portare scarpe: infatti, nota il Rousseau, i ginevrini, svegliati d’improvviso, presero i fucili, non le scarpe.
L’Emilio cade senz’altro nella categoria dei libri importanti, con quel tocco di lunghezza eccessiva e quel filino di noia che sovente vanno insieme a tali libri. È un trattato di pedagogia travestito da romanzo (peraltro noiosissimo come romanzo), che mi sembra faccia molte osservazioni di dettaglio innovative ed illuminanti, insieme a molte altre completamente sbagliate, il tutto in una cornice generale di pura follia. Il libro è rivolto alle madri, che però apprendono presto che Emilio, idealmente, è orfano. Inoltre Emilio viene educato da solo, il suo modello essendo Robinson Crusoe. Se i dettami di Rousseau fossero seguiti, ci dovrebbero essere oggi in Italia diversi milioni di Emilii semianalfabeti (i libri sono permessi solo verso i dodici anni), ciascuno appiccicato al suo precettore, anzi no, al suo “educatore” (gouverneur), forse quindici milioni di persone in tutto, e tutti in campagna (assolutamente non in città). Emilio sarebbe idealmente “innocente” fino a vent’anni (povero Rousseau, se tornasse oggi al mondo!). E le Emilie? Queste, che in realtà si chiamano Sofia (Sophie), sarebbero educate secondo i dettami del libro V dell’opera, la cui lettura è caldamente raccomandata alle femministe, che vi troverebbero innumerevoli perle da meditare. Infatti Rousseau enuncia come un teorema che l’uomo e la donna non debbano avere la stessa educazione (“le opere di genio oltrepassano le loro capacità” - delle donne). E questo, per Rousseau, non è il risultato di una tradizione, ma è voluto dalla natura stessa, e quindi dalla ragione.
Chi vuole dedicarsi all’educazione dei giovani deve senz’altro leggere l’Emilio, e poi guardarsi bene dal metterlo in pratica. Infatti, due principali considerazioni minano alquanto la credibilità del libro: anzitutto Rousseau stesso, pur avendo cinque figli – però tra il 1746 e il 1752, cioè prima della stampa dell’Emilio, preferì abbandonarli tutti all’orfanotrofio (1). In secondo luogo, Rousseau pensò utile darci una continuazione dell’opera in “Emilio e Sofia”, in cui i prodotti finiti del sistema sono diventati marito e moglie. Questa continuazione dell’Emilio è postuma, incompiuta, romanzesca, e soprattutto poco incoraggiante, perché il messaggio che se ne può trarre è che qualunque sia l’educazione ricevuta, la felicità nella vita dipende dal destino, o dal caso, o dall’ambiente, o da quel che si vuole, tutte forze ben più determinanti dell’educazione. Quindi l’unico insegnamento utile è quello di accettare con equanimità la propria sorte. In altre parole, se uno studioso di Rousseau leggesse per prima cosa quel che resta di “Emilio e Sofia”, ne dovrebbe concludere che è inutile prendersi la pena di leggere l’Emilio stesso.
Gli ammiratori di Rousseau, e non solo di Rousseau, a quanto pare non leggono i suoi testi o ne ignorano le parti politicamente scorrette. Meglio così: al diavolo questa nuova inquisizione del politicamente scorretto.
(“Émile, ou l’éducation”, 1762; prefazione e cinque libri: i primi due trattano l’infanzia, fino a 12 anni; il terzo, “l’età della forza”, fino a 15 anni; il quarto la pubertà, da 15 a 20 anni; il quinto l’età adulta, con l’educazione di Sophie; 1,34 Mbytes).
(“Emile et Sophie ou les Solitaires”, opera postuma divisa in due lettere di Emilio al suo educatore, seguite da uno schizzo di conclusione rocambolesca, 70 pagine).
(1) Qui gli ammiratori di Rousseau potrebbero andare in bestia aggiungendo che la storia è vecchia e che Rousseau spiegò per filo e per segno nelle sue Confessioni perché mise i suoi cinque figli tutti all’orfanotrofio. Di nessuno di loro si seppe più nulla, anche se ricerche più o meno dilettantesche furono fatte e almeno un romanzo fu scritto sul soggetto (2). Certo, Rousseau ha spiegato la sua decisione (Libro VIII delle Confessioni; lettera a Mme de Francueil, 20/4/1751). Il lettore deciderà se le spiegazioni gli appaiano valide.
(“Les confessions”, Libri I-VI, 1782: Libri VII-XII, 1789; XII libri, circa 700 pagine).
Questo libro ha un titolo sbagliato: “apologia” sarebbe più corretto. Tuttavia, sia le Confessioni sia l’Emilio sono capolavori riconosciuti della letteratura francese.
(2) “Les enfants de Jean-Jacques Rousseau”, di Claude Genoux, 1857, 250 pagine. In questo romanzo storico tuttavia si considera solo il maggiore di essi, che avrebbe assunto il nome di Pierre Garrot.
Anno imprecisato, fine XVIII secolo. Data della lettera da San Pietroburgo di Robert Walton, capitano di marina, con cui incomincia il romanzo “Frankenstein” di Mary Shelley. Walton racconterà l’intera storia. Il romanzo è un classico ed uno dei primi romanzi dell’orrore, questo secondo aspetto forse contro le intenzioni dell’autrice. Il mostro è senz’altro orrido, ma inizialmente non è malvagio, lo diventa; soffre la solitudine ed è sensibile e colto, avendo letto fra l’altro il “Paradiso perduto”, le “Vite” di Plutarco e “I dolori del giovane Werther”, un incitamento per i giovani a leggere. Vedi 11 settembre.
(“Frankenstein, or the modern Prometheus”, 1818, 438 Kbytes).
Quest’opera è un classico dell’orrore anche in versione cinematografica, con l’indimenticabile mostro nella parte di Boris Karloff (1931).
Nella notte tra l’11 e il 12 dicembre (in realtà alla 1:30 del 12 dicembre) il proiettile sparato dalla Columbiade ammara, concludendo l’epopea di “Intorno alla Luna”, di Giulio Verne, continuazione di “Dalla Terra alla Luna”. Vedi 1 dicembre.