Sardonicus dixit: “Possiamo anche ammettere d’aver sbagliato, ma non ce lo devono dire gli altri.”
14 dicembre
1009, nasce a Kyoto il principe Atsunaga Shinno, dall’imperatrice Shoshi (Fujiwara Akiko), futuro imperatore Go-Suzaku, cioè Suzaku II. E’ l’evento principale del diario di Murasaki Shikibu, forse la maggiore scrittrice del Giappone, il cui vero nome è ignoto. Questo diario fu scritto dopo che la scrittrice aveva completato il suo capolavoro, il Genji Monogatari, tra il 1002 e il 1004 (vedi 15 luglio), ricavandone il nomignolo di Murasaki (“Viola”), dal nome di uno dei personaggi. Shikibu era il grado di suo padre a corte. In altre parole, non ne conosciamo il nome. Scrivere diari inframmezzati da brevi poesie era di gran moda fra le dame della corte di Heian (Kyoto). Si vedano le annotazioni relative al diario di Izumi Shikibu (vedi 13 giugno) ed al Sarashina Nikki (vedi 17 ottobre). E ce ne sono altri: diari per lo più brevi, interessanti, che riflettono i diversi caratteri delle autrici e le varie epoche in cui sono scritti. Questo diario in particolare, con la minuzia delle sua descrizioni, con la sua ricchezza di colori, con le sue fini notazioni psicologiche, mi ricorda Tolstoj. Da leggersi. Si rimpiangerà che sia così breve e frammentario.
(“Murasaki Shikibu Nikki”, XI secolo, circa 40 pagine, 20500 parole).
Fujiwara Michinaga, onnipotente primo ministro di una corte modellata su quella cinese, e sovradimensionata per l’impero giapponese, era nonno del neonato principino. La notte del giorno dieci del decimo mese le balie cadevano dal sonno e Sua Eccellenza si prese cura del neonato. Il diario riporta “Talvolta il nobile infante faceva una cosa irragionevole e bagnava gli abiti di Sua Eccellenza”. Mentre si asciugava dietro un paravento, il nonno estatico diceva qualcosa che può essere vagamente tradotto come: “Questa pipì è il giorno più bello della mia vita”.
1702: Nella notte, durante una bufera di neve, i quarantasette ronin attaccano la dimora in Tokyo di Kira Yoshinaka per vendicare il loro signore, Asano Naganori di Ako. Questa è la conclusione (atto XI) del dramma del teatro kabuki Kanadehon Chushingura (Il tesoro dei fedeli vassalli), di Takeda Izumo II ed altri, che si ispira ad un fatto reale, immediatamente entrato nella leggenda. La storia dei quarantasette ronin è forse il racconto più celebre in Giappone e le sue innumeri versioni sia in teatro kabuki che in teatro joruri (marionette), che in films e serie televisive, sono ancor oggi popolarissime.
(“Kanadehon Chushingura”, 1748, joruri: 1749, kabuki; XI atti).
L’anniversario dell’impresa è oggi celebrato il 14 dicembre. Era infatti il 14° giorno del dodicesimo mese del quindicesimo anno dell’era Genroku. Ma “non accadde quest’oggi”, perché tale data corrisponderebbe al 30 gennaio 1703 del nostro calendario.
Quarantasei ronin, divisi in quattro gruppi, si suicidarono per ordine dello shogun il 20 marzo 1703. Essi sono sepolti insieme al loro signore nel Sengaku-ji, tempio situato nella zona meridionale di Tokyo, non lontano dalla stazione di Shinagawa. Il quarantasettesimo ronin, Terasaka Kichiemon, era stato mandato ad Ako ad annunciare la riuscita vendetta (secondo altre fonti, non aveva neppure partecipato all’assalto). Fu perdonato dallo Shogun e morì nel 1747. Anche lui è sepolto con i compagni. Nel giardino dell’Ambasciata d’Italia a Tokyo c’è una stele che ricorda che ivi avvenne il suicidio di uno di quattro gruppi di ronin.
1825 lunedì (vecchio stile). Fallito colpo di stato dei Decabristi in Russia. Cinque congiurati furono giustiziati, centoventuno furono esiliati in Siberia. Per un decreto dello Czar le mogli degli esiliati furono considerate vedove. Undici di esse, tra cui due Francesi (guarda un po’, queste Francesi, così gaie e leggere, chi l’avrebbe detto?), seguirono i mariti. Non era una decisione facile. Una di queste mogli era una principessa russa (che sembrerebbe essere Maria, moglie del principe decabrista Sjergjej Volkonskij), la quale evidentemente, aveva una sorella, Wanda, che appare nella decima de “Le Predestinazioni” (sarebbe “I destini”, ma sono personalizzati in esseri femminili), undici poemi filosofici di Alfred De Vigny. I brani che riguardano Wanda non sono però i migliori. Nelle “Predestinazioni” il romanticismo si ingarbuglia in una filosofia non sistematica, ma comunque grandiosa, altisonante, fatta di esclamazioni e un po’ di tutto, seguendo un tema che però in fondo è l’unico interrogativo che ci possa importare, se noi siamo arbitri del nostro destino o se tutto sia, in un modo o nell’altro, predeterminato. Uno dei poemi (“VI - La morte del lupo”) è tra le cose migliori di De Vigny, e qua e là ci sono gemme preziose.
Il romanticismo di De Vigny può essere altisonante quanto si vuole, ma le mogli dei decabristi lo vissero fino in fondo. Alcune sono sepolte con i loro mariti al Monastero Znamenskij, in Irkutsk, in mezzo alla Siberia.
(“Les destinées”, tra il 1843 ed il 1854, undici poemi disuguali, 2000 versi; leggere almeno “La morte del lupo”).
IL MOLTO DEGNO MR LISTLESS: ….Fatout, quando è stata l’ultima volta che ho giocato a biliardo? FATOUT (domestico): Dal quattordici decembre de l’anno passé, Monsieur (Fatout si inchina ed esce)”. Entrambi sono ospiti nella lugubre “Abbazia degli incubi”, gabbia di matti dalle tendenze filosofico-pessimistiche, con qualche vivace fanciulla, che dà il titolo all’omonimo romanzo di Thomas Love Peacock, da cui è tratta la citazione (Capo V). Romanzo satirico tardo-illuminista, leggero e divertente. Non lungo e raccomandabile, anche se richiede qualche allenamento, e la volontà di non formalizzarsi sull’opinione poco lusinghiera che l’autore evidentemente ha di Italiani e Greci e Francesi etc.
(“Nightmare Abbey”, 1818, 173 Kbytes).