“Il mondo è diventato talmente brutto che anche se me ne dovessi andare non ne farei una malattia. “ (DE)
24 dicembre
Vigilia di Natale.
Anno imprecisato, fine ‘500. Gli schiavi cristiani in Algeri decidono di celebrare il Natale. Il dramma “Il bagno di Algeri”- di Miguel Cervantes y Saavedra, racconta in tre atti la storia, ricca di episodi di vita degli schiavi, in cui si intrecciano varie vicende: amori, una convertita araba, il martirio di Francisquito. L’azione si conclude con una fuga generale degli schiavi.
(“Los baños de Argel”, 1615 edizione principe, 3 atti).
Si incontra qui Ajimorato (ricchissimo algerino), che compare anche nel Don Chisciotte, “Storia del prigioniero di Algeri”, capitoli 39-42 della prima parte. Un Ajimorato comparve anche in carne ed ossa nella vita di Cervantes, che fu, appunto, prigioniero ad Algeri per cinque anni. Qui ebbe modo di dimostrare un animo nobile e coraggioso: tentò di fuggire quattro volte e preferì la tortura alla delazione, dichiarandosi sempre responsabile dei vari tentativi. Inoltre, visto che i soldi del riscatto raccolti dalla madre nel 1577 non bastavano per due, preferì che fosse liberato suo fratello Rodrigo, prigioniero con lui. Non molti grandi autori possono vantare simili azioni. Il Nostro fu infine riscattato in modo quasi romanzesco il 19 settembre 1580 dai Padri Trinitari, ordine fondato per il riscatto degli schiavi, che ha così la gloria di averci salvato anche almeno un capolavoro letterario di primissimo ordine.
“Nuit de Noël de l’an de grâce mil six cent e tant - Notte di Natale dell’anno milleseicento e tanti…” Alla cappella abbandonata, vicino al luogo dove un tempo si ergeva il castello di Trinquelage, la vigilia di Natale si raccoglie ogni anno un gruppo di spiriti che deve assistere alle tre messe “basse”, che si usavano un tempo a mezzanotte. Da “Tre messe basse - racconto di Natale” , di Alphonse Daudet, una delle “Lettere dal mio mulino”, raccontata con levità, come altri racconti di questa simpatica raccolta. La penitenza doveva durare trecento anni, e quindi è terminata nel secolo scorso. Ora tutto deve essere pace a Trinquelage, anche la sera della vigilia di Natale.
Per le ”Lettres de mon moulin” si veda 15 febbraio.
Anno imprecisato, seconda metà del Settecento. Viene organizzato dall’Architetto un quadro vivente di soggetto natalizio, con Ottilia nella parte della Madonna. Vedi Capo XXIV del romanzo “Le affinità elettive”, di Johann Wolfgang von Goethe. Penso che l’autore volesse spiegarsi come possa crearsi un legame di amore tra due persone, e al tempo stesso darsi una giustificazione per la propria incostanza sentimentale (in quel tempo, sposato con Christiane Vulpius, ebbe un’infatuazione per l’assai più giovane Minna Herzlieb). La tesi che Goethe espresse nel suo noto e discusso romanzo (vedi soprattutto Capo IV) è che l’amore sia dominato da una sorta di chimica delle relazioni sociali, secondo cui si creano legami fra elementi affini. Spinse più avanti l’analogia chimica considerando le reazioni di scambio, dovute alla “elettività”, per cui date due coppie legate AB e CD, si possono rompere legami esistenti e formare legami più forti, per terminare con le due coppie AC e BD. Naturalmente questa affinità elettiva è nella natura delle persone coinvolte, che non hanno scelta. In chimica, gli elementi coinvolti in questi scambi non soffrono. Non è così per gli esseri umani. Secondo Goethe sono le convenzioni sociali, che proteggono il matrimonio come base della società, quelle che provocano inevitabile sofferenza, entrando in conflitto con le affinità elettive, che invece sono insite nella natura dell’individuo. Non è chiaro neppur oggi quanto Goethe credesse in questa teoria e se desse la preferenza alle leggi della società piuttosto che a quelle della natura o viceversa. Nel romanzo, le convenzioni sociali in un modo o nell’altro vincono la battaglia, ma è chiaro che la simpatia dell’autore va alle vittime di questa situazione, senza tuttavia prendere posizione. La vita sentimentale, platonica e non, di Goethe fu molto movimentata: aveva indubbiamente molte affinità, serialmente elettive. Il libro è un capolavoro, ha pagine poetiche e personaggi gentili, ma tratta problemi che non esistono più, di una società scomparsa. Non so quanti oggi scriverebbero un libro di pseudo-chimica di trecento pagine per piantare il/la partner. L’ennesima sfida di un classico.
(“Die Wahlverwandtschaften”, 1809, 529 Kbytes, 350 pagine).
Goethe apparteneva ad una famiglia borghese. Fu elevato alla nobiltà nel 1782 come von Goethe. Quindi il suo nome corretto è davvero Johann Wolfgang von Goethe.
1828, giovedì. Nella notte di Natale del 1828 si svolge il primo atto (“il mondo religioso”) del poema drammatico in prosa “Axël”, in quattro atti (o “mondi”), di Philippe-Auguste Villiers de l’Isle-Adam, una delle opere più simboliche del simbolismo, inevitabile per i giovani simbolisti di fine Ottocento, e per chi voglia conoscere il movimento. Il lettore potrà misurarne la distanza ideale dal nostro tempo. Riassumo come esempio il primo atto: si tratta della monacazione di Sara di Maupers. Ci sono lunghi discorsi e dialoghi essenzialmente di due soli personaggi logorroici, la badessa e l’arcidiacono, con qualche suora che interviene con un paio di battute. Infine, dopo varie cerimonie l’arcidiacono chiede a Sara se accetti la Luce, la Speranza e la Vita. E finalmente Sara parla, dicendo l’unica sua battuta dell’atto, costituita da una sola parola di una sola sillaba. Finisce che, senza più parlare, ma brandendo un’ascia, Sara chiude l’arcidiacono nella cripta dove lui voleva metter lei, e se ne va per la finestra. Fine del primo atto. Vale senz’altro la pena.
(“Axël”, scritto nel 1885-1886 e pubblicato postumo nel 1890; quattro atti, 200 pagine).
Circa 1830. Incomincia l’azione dell’opera “La Bohème”, e quindi vi si cantano “Che gelida manina” e “Mi chiamano Mimi, ma il mio nome è …”. Questa scena non compare nel libro del Murger (vedi 8 aprile), ma la successiva cena al caffe Momus compare ed è riferita appunto alla vigilia di Natale.
(“La Bohème”, libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa, musica di Giacomo Puccini; 1896. Tre atti: dei libretti d’opera non ha senso contare le pagine).
La Bohème di Ruggero Leoncavallo, libretto e musica del medesimo, non solo incomincia la notte di Natale, ma si conclude nella stessa notte un anno dopo.
(“La Bohème”, libretto e musica di Ruggero Leoncavallo, 1897, quatttro atti).
La notte della vigilia di Natale si svolge gran parte dell’azione del “Canto di Natale”, di Charles Dickens. Il breve libro ebbe un istantaneo successo, e lasciò nella coscienza inglese immagini e figure indimenticabili (per me la breve descrizione di quando Scrooge portato dal primo spirito ritrova i luoghi della sua d’infanzia e la sua scuola è uno dei momenti più malinconicamente belli del racconto). È probabile che la fama di Dickens sarebbe assicurata anche se avesse scritto quest’unico libretto. Non si può non averlo letto. Proprio non si può.
(“A Christmas Carol in Prose, Being a Ghost Story of Christmas”, 1843, 28000 parole, 80 pagine).
1849, lunedì- “24 dicembre 1849 – Mi ero messo le pantofole e la vestaglia”. Incipit del romanzo “Il delitto di Sylvestre Bonnard, membro dell’Istituto”, primo romanzo (o due racconti?) di Anatole France. Il buon Sylvestre, mite bibliofilo, persegue due obiettivi: trovare un prezioso manoscritto e salvare la fanciulla Jeanne dalle grinfie del suo tutore e dalle persecuzioni a cui è soggetta nel suo pensionato. Quanto all’orrido delitto, lascio che se lo scopra il volonteroso lettore. Per escursionisti a caccia di buoni sentimenti.
(“Le crime de Sylvestre Bonnard, membre de l’Institut”, 1881 con un’edizione definitiva del 1922; 300 pagine, circa 400 Kbytes).
Scena della novella “Il dono dei Magi”, tratto da “Quattro milioni”, raccolta di novelle del romanziere Americano O.Henry (William Sydney Porter). Della e Jim sono due poverissimi sposi. Per Natale lui le vuole regalare un pettine per i suoi bei capelli, lei vuol regalargli una catena per il suo bell’orologio. Simpatica e geniale novella, come tutte quelle della raccolta. Al giorno d’oggi la novella probabilmente terminerebbe con una torrida scena di sesso. Ci sarà pur stata, ma mi basta e preferisco quel che ci racconta O. Henry.
(“The gift of the Magi”, da “Four Millions”, 1906, venticinque novelle e un’introduzione, 160 pagine).