16 Gennaio

Sezione: non-accadde/

Sardonicus dixit: “La modestia è l’estremo inganno a cui ricorre la vanità”.


16 gennaio

1707, giovedì (calendario giuliano). L’atto di unione fra Inghilterra e Scozia viene ratificato. Parallelamente John Bull, protagonista del romanzo satirico a chiave “La storia di John Bull”, di John Arbuthnot, riceve in casa la sorella Peg. Le vicende domestiche di John Bull sono la trascrizione satirica delle vicende politiche dell’Inghilterra ai tempi della guerra di successione spagnola. Tanto per dare un’idea, la guerra è una causa legale (lawsuit), Filippo Babbuino (Baboon) è Filippo di Borbone, Luigi Babbuino (Lewis Baboon) è Luigi XIV, la mamma di John Bull è la Chiesa d’Inghilterra e la Signiora (sic) Bubonia il Papa. Come troppe satire è troppo lunga (un bel gioco dura poco), ma almeno è riuscita a creare un carattere, John Bull, ancor vivo oggi per rappresentare l’Inghilterra.
(“The History of John Bull”, dal 1712, cinque fascicoli poi raccolti in 49 capitoli brevi, 243 Kbytes)


1820, domenica. “Signori, disse l’avvocato generale, il 16 gennaio 1820 Birotteau fu dichiarato in bancarotta…”. Così comincia il discorso con cui viene solennemente riassunta e conclusa la vicenda di Cesare Birotteau, nel capitolo XVI e ultimo del bel romanzo di Honoré de Balzac, il cui titolo completo è “Storia della grandezza e decadenza di Cesare Birotteau, profumiere, cavaliere della Legion d’Onore, vice-sindaco della seconda circoscrizione di Parigi. Nuova scena della vita parigina”. Il titolo dice tutto - o quasi. Non dice il piacere che si prova a leggere questo libro in cui spicca la coppia formata da un uomo buono e scrupolosamente onesto e una donna buona e di buon senso, in un mondo pieno di gente senza scrupoli, ma dove non mancano neppure amici fedeli. La storia è ispirata dalla vicenda del profumiere Jean Vincent Bully, che però fu forse meno onesto e certo più infelice.
(“Histoire de la grandeur et de la décadence de César Birotteau, parfumeur, chevalier de la Légion d’honneur, adjoint au maire du deuxième arrondissement de Paris. Nouvelle scène de la vie parisienne”, 1837, 645 Kbytes).


1867, mercoledì. Il sedicente Roger Charles Tichborne (cioè Tom Castro, cioè Arthur Orton) si presentò a Lady Henriette Felicite Tichborne, che era convinta che il figlio fosse sopravvissuto al naufragio senza superstiti della nave Belle, avvenuto al largo di Rio de Janeiro tra il 20 e il 26 aprile 1854. La madre lo riconobbe senza indugio. È la data cruciale del saggio-racconto di Jorge Luis Borges, “Tom Castro, l’impostore inverosimile”.
Secondo la personale teoria di Borges, la truffa (che la magistratura britannica riconobbe definitivamente come tale nel 1874) sarebbe stata architettata da Ebenezer (Andrew) Bogle, che, con un colpo di genio, presentò come Lord Tichborne redivivo un candidato “inverosimile”, che cioè non aveva con lui la minima somiglianza, nè fisica nè intellettuale. Bogle avrebbe puntato sul fatto che a nessuno sarebbe potuto venire in mente di presentare un candidato così improbabile a meno che questi non fosse l’autentico Lord Tichborne. A parte l’interesse della truffa, che Borges racconta nel suo brevissimo racconto, c’è per noi Italiani la curiosa somiglianza del caso Tichborne con la vicenda dello “smemorato di Collegno”, che divise in due il nostro Paese negli anni 1928-1931, con strascichi fino a tempi assai recenti. Una vicenda incominciò in Brasile, l’altra ci finì.
(“El impostor inverosímil Tom Castro”, pubblicato separatamente nel 1933 e poi come parte della “Historia universal de la infamia” nel 1935 e infine nel 1954 , 11000 parole).