10 Febbraio

Sezione: non-accadde/

Sardonicus dixit “Ad alcuni serve una maschera per riuscire ad essere se stessi.”


10 febbraio
46 aC, suicidio di Catone a Utica. Catone fu personaggio drammatico quant’altri mai, con una vita a dir poco peculiare. Riferimenti alla sua morte abbondano nella letteratura.

Naturalmente per primo si menziona Dante (Purg.I, 70 e segg.):
Or ti piaccia gradir la sua venuta:
libertà va cercando, ch’è sì cara,
come sa chi per lei vita rifiuta.72

Tu ’l sai, ché non ti fu per lei amara
in Utica la morte, ove lasciasti
la vesta ch’al gran dì sarà sì chiara.

Scendendo di qualche gradino si può ricordare il “Dialogo dei morti - Catone e Cicerone”, di François Fénelon, in cui l’autore si sfoga contro Cicerone, che evidentemente gli è antipatico, come appare da non meno di cinque suoi dialoghi. A Cicerone non viene perdonato assolutamente niente: modesto oratore perché troppo ornato, cultore di un’arte - la retorica - malsana, pessimo filosofo e debole copista dei Greci. Persino la sua morte viene interpretata come un fallito tentativo di fuga - da Fénelon, che morì placidamente nel suo letto arcivescovile. Gelosia di mestiere? (Vedi 28 gennaio).

Tra le innumeri opere pressoché prive di date di Pietro Metastasio, spicca il Catone in Utica, come una delle tre che non hanno un lieto fine, con l’Attilio Regolo e la Didone Abbandonata. Val la pena leggere i bei versi di Metastasio, facili e non banali, ma evidentemente incapaci di esprimere sentimenti tragici. Sul più bello di un monologo non spregevole, l’attore conclude con due strofette in senari o ottonari che oggi, se lette e non cantate, non possono non sorprenderci regalandoci qualche momento di ilarità. Ammettiamo pure che nel Catone, di queste strofette ce ne sono poche. Ciò non toglie che i versi:
Se tiranno poi si rende
La ragion ne sente oltraggio
Come l’erba al caldo raggio
Come al gelo esposto il fior
(parte),
siano attribuiti nientemeno che a Giulio Cesare. Bruto e Cassio non si sarebbero neanche sognati di assassinarlo, se lo avessero saputo. Ma almeno una tragedia di Metastasio va letta. Anche lui, a modo suo, dice qualcosa.
(“Catone in Utica”, 1728, tre atti).