Sardonicus dixit (pù o meno): “Per imparare occorre sempre chiedere e mai credere”.
18 marzo
1184, battaglia di Ichi-no-tani (altri dicono che ebbe luogo il 21 marzo). In essa avvenne il combattimento tra il sedicenne Taira Atsumori e Kumagai Naozane, che uccise Atsumori. Il fatto d’arme, uno dei più noti in Giappone, è rivissuto nel dramma Noh “Atsumori”, di Zeami Motokiyo (morto nel 1443). Atsumori portava con sè il celebre flauto Saeda, ovvero Aoba no fue (il flauto delle foglie verdi).
Il dramma, come tutti i drammi Noh, è breve, ma assai denso di richiami storici, letterari e religiosi. Per qualche ragione, il teatro Noh, per quanto si sia sviluppato indipendentemente a diecimila chilometri di distanza e milleottocento anni più tardi, ha diverse somiglianze formali e sostanziali con la tragedia greca e tocca qualche corda profonda anche di un animo occidentale.
(“Atsumori”, XIV-XV sec. Il dramma dura meno di un’ora (a leggerlo dura assai meno), ma è un’ora di impegno. Già l’incipit del dramma, pronunciato dal monaco Rensei, presenta pressoché insormontabili difficoltà di traduzione e di interpretazione. Uno dei maggiori orientalisti, Arthur Waley, tradusse: “La vita è un sogno menzognero. Solo veglia chi rinuncia al mondo”. Bello, ma non credo che abbia molto a che vedere con l’originale).