Sardonicus dixit:”Ignavia: infame accusa a chi coerentemente accetta l’inutilità degli umani sforzi e non agisce di conseguenza”
Festa tradizionale delle Sante Marie al paese di Saintes-Maries-de-la-Mer (Li Santo), in Provenza. In “Mirella”, poema di Frederic Mistral, canto I, viene raccontato il miracolo della guarigione del bambino cieco. D’altra parte “le Sante” sono sullo sfondo dell’intero racconto, che si conclude nel medesimo santuario (presumo) il 26 giugno a sera.
Secondo una leggenda medioevale, subito dopo la prima Pasqua i Giudei caricarono su una nave senza timone, senza vele e senza remi Maria di Betania, Maria Maddalena, (distinta dalla precedente – almeno in un primo tempo), una terza Maria, Marta, Lazzaro, il cieco nato guarito da Gesù (Restituto o Celidonio o Sidonio), Giuseppe d’Arimatea e altri discepoli. La nave raggiunse miracolosamente la Camargue e di là i vari passeggeri sciamarono in Provenza cristianizzandola (San Lazzaro è il leggendario primo vescovo di Marsiglia, Santa Marta avrebbe neutralizzato la Tarasca – altra storia, Celidonio sarebbe il primo vescovo di Nimes etc.). Naturalmente, è questa la leggenda a cui fu recentemente aggiunto un condimento spurio di Gnostici, Catari, Templari e chi più ne ha più ne metta, inclusi i risultati di una truffa ai danni di alcuni creduloni, e sul nulla fu costruita una montagna di scempiaggini della quale di rado il mondo ha visto l’eguale.
Molto meglio la storia di Mirella, che, poiché i suoi genitori ricchi possidenti non le permettono di sposare Vincenzo (Vincèn), un povero canestraio, fugge di casa per andare a chiedere alle Sante un miracolo. Con questo gentile poema, che ci riporta in una Provenza agreste, romana e cristiana, e con il suo gemello, Calendal, Mistral cercò di creare una rinascenza Provenzale a metà Ottocento.
(“Mirèio”, 1859, 12 canti, circa 6200 versi)
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“Dirai che il tuo bambino è nato il venticinque maggio”, dall’atto secondo del dramma “I topi, una tragi-commedia berlinese”, di Gerhard Hauptmann, in cui c’è assai più della tragi- che della commedia. L’ex-attore Hassenreuter nell’atto III indica la donna delle pulizie, la Signora John, e dice sarcasticamente all’allievo Spitta, che evidentemente preferisce il naturalismo: “Ecco la sua Musa tragica”. Hassenreuter non lo sa, ma è proprio così. Con tutto ciò non posso dire che tutti i drammi di Hauptmann, Premio Nobel 1912, siano i miei preferiti dell’inizio del Novecento ed il naturalismo il movimento che prediligo. Forse troppo tempo è passato ed il movimento ha perso di attualità, così come Berlino, la città perennemente sullo sfondo del dramma, non guarda più a Parigi, dopo infinite traversie che Hauptmann fece a tempo a vedere - solo in parte, per sua fortuna.
(“Die Ratten - eine Berlinische Tragikomoedie”, 1911, cinque atti).