Sardonicus dixit: “La folla protegge la solitudine e un’animata conversazione il silenzio.” (DE: Siamo sul misterioso, eh?)
1 giugno
1793, sabato. La corvetta The Claymore salpa alla baia di Bonnenuit, isola di Jersey. È l’inizio del libro II , il vero inizio dopo un primo libro di prologo (in cui si presentano personaggi secondari), dell’ultimo romanzo di Victor Hugo, “Novantatré”, sull’insurrezione nella Vandea. Il vecchio Hugo ha imparato anche troppo bene il meccanismo romantico e ci condurrà fino ad un finale di colpi di scena in cui vari personaggi di entrambe le parti gareggiano in generosità sacrificandosi per i nemici e dicendo frasi magnanime nel modo più inverosimile, e quindi non improbabile. L’autore finisce col mandarli tutti in paradiso, di sua propria autorità. Ma troppa grazia stanca. Non stancò però un seminarista georgiano, certo Dzhugashvili, a cui piaceva la figura del prete rivoluzionario, Cimourdain. Dai frutti si conosce l’albero: Dzhugashvili prese poi il nome di Stalin. Insomma, non è necessariamente il primo romanzo da leggere di Hugo, ma lo si può leggere, più per sapere come i romantici vedevano il mondo, che per conoscere il mondo che vedevano, cioè, in questo caso, la poco attraente Francia del 1793.
(“Quatre-vingt treize”, 1874, 701 Kbytes).
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1832, venerdì. Data della seconda convocazione degli eredi di Marius Rennepont (nessuno dei quali si presenta) ne l’Ebreo errante di Eugenio Sue (vedi 13 febbraio).
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1879, domenica. Cade da valoroso Napoleone Eugenio (“Napoleone IV”), figlio di Napoleone III, in un’imboscata tesagli da una banda di Zulù nello Zululand. La sua fine è rievocata dal Carducci in una nobile ode, che, pur nel contorto verseggiare che rievoca perduti richiami storici, si conclude con un’immagine tragica potente.
(“Per la morte di Napoleone Eugenio”, dalle Odi Barbare, 50 liriche scritte fra il 1873 e il 1893; 56 versi).
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(Anno imprecisato). Data dell’assemblea generale del Club Britannico, in “Giorni Birmani” di George Orwell. Si dovrà decidere dell’ammissione di un non-Britannico al Club stesso. Si tratta di uno studio alla Balzac dell’ambiente alla periferia dell’impero: un esercizio di virtuosismo che fa restare ammirati. È un Orwell non molto noto - penso - che vale la pena.
(“Burmese Days”, 1934, circa 300 pagine).