“Cerchiamo di alleviare l’infelicità degli altri più che altro perché ci infastidisce”. (DE)
25 giugno
1673, domenica. Il D’Artagnan storico muore all’assedio di Maastricht. Insieme a lui muore il fittizio D’Artagnan (quest’ultimo stringendo in mano il bastone di maresciallo, giunto tardi), concludendo il ciclo dei tre moschettieri. La morte è narrata ne “Il Visconte di Bragelonne”, ultimo romanzo della trilogia di Alessandro Dumas padre. È il romanzo della fine, vagamente malinconico, in cui gli eroi invecchiati muoiono ad uno ad uno - tranne il torbido Aramis. La fine, però, se la prende comoda e impiega qualcosa come 2500 pagine prima di arrivare.
(“Le Vicomte de Bragelonne”, 1847-1850, 2500 pagine)
L’ultima parte del romanzo è il famoso “Uomo dalla maschera di ferro”, fonte di un’infinità di modesta letteratura e ancor più modesti film.
—
Maggie prenderà un nuovo impiego il 25 giugno, ne “Il Mulino sulla Floss”, di George Eliot (Marie Anne /Marian Evans). Il villaggio di St. Oggs, il fiume Floss, per non parlar del mulino, sono inventati. Qui intorno si svolge la vita di Tom e Maggie, fratello e sorella. Parte delle vicende sono trasfigurazioni di un’autobiografia – non tutte, però: in particolare non lo è il finale del libro.
(“The Mill on the Floss”, 1860 in tre volumi, 1.13 Mbytes).
—
1874, giovedì. Prima data citata nella “Storia di un’anima” di Santa Teresa di Lisieux, il primo di tre manoscritti, che costituiscono l’intera opera di Teresa, abbastanza però da far di lei uno dei trentatré dottori della Chiesa Cattolica (di cui tre donne, due delle quali Terese). Non si tratta strettamente di un’autobiografia. È invece un breve classico del misticismo, in stile semplice e leggibile, forse un po’ lezioso all’inizio. Si vedrà fin dalle prime righe che il libro non cerca la logica ferrea né cerca di convincere, né colla ragione né altrimenti. Si limita solo a raccontare un’esperienza che è durata una vita, anche se breve.
(“Histoire d’une âme”, 1898 postuma, circa 200 pagine)
Il misticismo è un’attività che gode di poca simpatia ai giorni nostri, e da molti è serenamente identificata con una malattia mentale, o più d’una. Sarà vero? Ma può un sordo dalla nascita discutere di musica? Forse considererebbe malato uno che si estasia a guardare un’orchestra che si agita manovrando ridicoli oggetti e guidata da un pazzo, se non sapesse o non volesse ammettere che esiste anche il suono.
—
Prima data citata nel romanzo “Le onde”, di Virginia Woolf: “Hanno reso tutti i giorni di giugno – oggi è il venticinque – lustri e ordinati”.
“Le Onde” è l’opera più complessa di Virginia Woolf, che ne disse, penso giocando sull’ambiguità della parola inglese “play” (dramma, ma anche gioco): è “un nuovo genere di dramma … prosa, ma anche poesia, novella e dramma/gioco”. Sei personaggi tessono i loro soliloqui (non molto differenti in stile, a parte uno o due) che si intersecano. Un settimo personaggio viene citato frequentemente, ma non soliloquia. Nove interventi narrativi esterni danno il senso del passare del tempo, dall’alba al tramonto di una simbolica giornata che rappresenta anche la vita dei sei più uno. I sette vivono (due muoiono) nel contempo, ma non per questo le loro storie presentano il minimo interesse, a meno che il lettore non si lasci trascinare nel gioco ed aggiunga il suo settimo monologo virtuale. Sarà stata questa l’intenzione dell’autrice. “Le onde” è senza dubbio un classico, ma assai sofisticato, scritto da un genio del linguaggio, e, penso, destinato unicamente ai critici letterari o aspiranti tali. Non è esatto dire che lo si legge, lo si vive piuttosto come un’esperienza. Non lo consiglio con particolare calore, perché il non specialista, che non voglia almanaccare sul significato di ogni singola frase, lo troverà insopportabilmente noioso: ne potrebbe risultare un forsennato odio verso Virginia Woolf ed il suo “gruppo di Bloomsbury”, solo in parte meritato. Io l’ho usato irriverentemente per gioco - appunto. Prima parte del gioco: omettere una frase ogni due, per esempio tutte le frasi pari (seconda, quarta, sesta, ottava etc.). Il testo risultante è secondo me addirittura più interessante dell’originale. Provare per credere. Questo mi lascia però sospettare che se saltassimo anche le frasi dispari avremmo un’opera ancor più interessante.
Insomma, sesto grado superiore.
(“The Waves”, 1931, circa 300 pagine)