Sardonicus dixit:”Solo i grandi leader sanno trasformare i piccoli errori in catastrofi.”
10 luglio
48 aC, battaglia di Dyrrachium. Alphonse Peyrehorade, che si sposerà più tardi nella giornata, si mette a giocare al “Jeu de paume “e incoraggia la sua squadra che sta perdendo, così proprio “come Cesare che riorganizza i suoi soldati a Dyrrachium - comme César ralliant ses soldats à Dyrrachium”. La scenetta è nel breve racconto di fantasia-orrore “La Venere di Ille”, di Prosper Mérimée, in cui si apprende che assolutamente un fidanzato non deve mai mettere anelli al dito di una statua.
(“la Venus d’Ille”, 1837, 80 Kbytes che si leggono benissimo, come praticamente tutto Mérimée).
La storia dell’anello al dito della statua di una dea, che poi se lo vuol tenere, è assai antica: si risale almeno fino a Guglielmo di Malmesbury e Vincenzo di Beauvais, il quale ultimo riferisce la vicenda ai tempi dell’Imperatore Enrico III (1017-1056). In quegli anni, a quanto pare, la storia ebbe rapida diffusione in Europa, il che fa pensare che fosse originata da qualche evento reale e ben definito. Nelle versioni più frequenti, che si svolgono a Roma, il fidanzato riesce a riavere l’anello pagando profumatamente un prete Palumnus o Palumbus, che gli dà una pergamena da mostrare alla dea o chi per essa. La dea desiste infuriata, il cavaliere è libero e convola a giuste nozze, Palumnus muore. Quasi un lieto fine. Ho notato che quasi tutti quelli che mettono l’anello al dito di una statua lo fanno per giocare meglio a palla.
Il “jeu de paume” è una delle varie versioni della pallamano. In Italia, sulla costa romagnola - marchigiana usava un “pallone col bracciale”, chiamato brevemente “pallone”. Giacomo Leopardi, che era un appassionato del gioco, dedicò la sua canzone “A un vincitore del pallone” a certo Carlo Didimi. Sessantacinque versi, non dei migliori del Leopardi, anche se tra di essi si trova il lapidario:”Nostra vita a che val? Solo a spregiarla”, motto che senza dubbio incontrerebbe l’apprezzamento del pubblico e dell’interessato se fosse scritto da un poeta per qualche grande calciatore odierno. Vedi 20 settembre.
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643 dC. Incomincia il romanzo storico “La sposa del Nilo” di Georg Ebers, con una carovana che arriva a Menfi dal nord. L’egittologo Ebers, oltre alle sue dotte pubblicazioni, scrisse anche numerosi romanzi storici accuratissimamente ricercati. Tra questi, il gruppo riconosciuto come più interessante è costituito da una decina di romanzi che coprono più di duemila anni di storia egiziana. La Sposa del Nilo sarebbe, in ordine cronologico, l’ultimo romanzo della serie, svolgendosi pochi anni dopo la conquista islamica del 639 dC. Ci sono già i Musulmani, ci sono ancora i Greci, ci sono Cristiani di almeno due sette ferocemente rivali, c’è una setta persiana e tutto si svolge nell’Egitto senza età. Così verso la fine del libro (Capo XVIII) il titolo stesso del romanzo finalmente acquista significato anche per i non esperti. Non urgente, ma più che leggibile.
(“Die Nilbraut”, 1886, inizialmente in 3 volumi, 600 pagine, 1.22 Mbytes).
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“10 luglio, santa Felicita” è il sottotitolo del poemetto di Guido Gozzano, “La signorina Felicita, ovvero la felicità”, in cui viene rievocato il casto idillio dell’avvocato (malato) con una modesta, ma non volgare, fanciulla di campagna. Tutto questo ad Agliè, anzi, Agliè Gozzano. Il poeta è uno dei pochi che dichiaratamente amavano le date e scrive in uno stile volutamente pedestre, il che gli ha conferito doti di mezzofondista poetico, sopravvivendo nella memoria a poeti che al suo tempo erano assai più quotati di lui.
(“La signorina Felicita, ovvero la Felicità”, da “I Colloqui”, 1911, 434 versi).
Per una curiosa continuazione virtuale del poemetto, si legga “L’ipotesi”, tra le poesie sparse del medesimo poeta.