Sardonicus et DE dixerunt: “Gli insicuri sperano che non sia seguito un loro consiglio, anche dato inavvertitamente.”
10 agosto
Anno ignoto.
E battezzollo un certo Don Ilario
Il dì dieci d’agosto, giorno caldo
Dandogli il nome di sua madre, BALDO.
(Macceronea prima, ottava 87)
Questo fatto, per quanto ne so, non accadde in due modi. Anzitutto il Baldo è ovviamente un personaggio di fantasia. In secondo luogo, questo prezioso dato l’ho trovato soltanto nelle “Maccheronee dieci, di Merlin Coccajo, tradotte in ottave vulgari da Jacopo Landoni ravennate (1819)”, ma non nell’originale in mano mia del “Merlini Cocaii Macaronicon”, noto altresì come “Baldus”, di Teofilo Folengo, che qui scrisse sotto lo pseudonimo di Merlino Coccaio e altrove con quello di Limerno (anagramma di Merlino) Pitocco. La leggenda, ripresa dal Gravina e quindi dal Tiraboschi, è che Teofilo Folengo, frate benedettino dalla variopinta carriera, fu dotato di eccelso ingegno poetico, ma, vedendo che poetando in latino o in italiano avrebbe potuto essere solo primo a pari merito o addirittura secondo, preferì inventarsi un genere nuovo in una lingua, il latino maccheronico, da lui non inventata, ma portata a perfezione. Le grasse avventure picaresche di Baldo, figlio di Guidone e della principessa Baldovina, accompagnato da Cingar ed altri compagni di ventura uno più furfante dell’altro, sono sboccate, irriverenti, divertenti e raccontate in modo ameno. Non manca neppure un incontro con i diavoli danteschi (XIX) ed un viaggio agli inferi (XXIV). Poeti, astrologi e contafrottole in genere, tra cui l’autore, saranno confinati in una gigantesca zucca e torturati da tremila barbieri cavadenti: evidentemente ci sono paure che al mondo non cambiano (XXV). Il latino maccheronico non è banale come sembra: è una lingua rigorosa con una sua grammatica, una sua sintassi, una sua prosodia ed un suo dizionario. L’interpretazione non è agevole come si potrebbe credere, ma ormai il Baldus è reperibile in traduzione su Internet. Un grande ingegno affine, François Rabelais (vedi 3 febbraio), scrisse poco dopo il nostro precursore probabilmente ispirandosi al suo modello, citandolo per nome e sovente copiandolo senza tanti patemi.
(“Merlini Cocaii Macaronicon”, 1517, XXV libri, 14940 esametri maccheronici)
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1792, venerdì. Data cruciale in Madame Sans-Gêne, dramma (di Victorien Sardou e Emile Moreau), romanzo storico (Victorien Sardou, Emile Moreau, Edmond Lepelletier/Lepeltier), opera lirica (libretto di Renato Simoni, musica di Umberto Giordano), titolo di vari films. Il primo atto del dramma e dell’opera si svolgono appunto il 10 agosto 1792, sullo sfondo della fine della monarchia Francese. Catherina Hubscher, lavandaia presso cui il giovanissimo Napoleone si fa lavare le camicie dimenticandosi di pagare, fidanzata col sergente François-Joseph Lefebvre, futuro maresciallo di Francia, soccorre il conte Neipperg, ferito negli scontri della giornata. Il carattere della marescialla, poco raffinata, abituata a dire pane al pane e vino al vino, ma sincera e di buon cuore, era consacrato dalla tradizione. Ma per tutto il resto la storia si inchina e si ritira. Neipperg avrebbe avuto diciassette anni nel 1792 e non sembra fosse a Parigi a quel tempo. La vera madame Sans-Gêne era un’altra persona (Thérèse Figuier). I Lefebvre si erano sposati nel 1783. La vicenda del Conte Neipperg con l’Imperatrice Maria Luisa, che occupa gran parte del secondo e terzo atto dell’opera, e si svolgerebbe nel 1811, è quindi anticipata di tre anni. Anche se la storia vi è brutalizzata, il dramma soprattutto ebbe una meritata fama e fu un pezzo di bravura per diverse grandi attrici, essendo uno dei primi drammi in cui una donna faceva valere i suoi diritti, nientemeno che con Napoleone. Però non posso trattenermi dal chiedermi ancora una volta se la storia vera non sarebbe più interessante. Una fedele biografia di Adam Neipperg, per esempio, sarebbe già da sola un romanzo, e non dei meno interessanti.
(“Madame Sans-Gêne”, 1893, dramma in tre atti)
(“Madame Sans-Gêne, roman historique”, 1897, 500 pagine)
(“Madame Sans-Gêne”,1915, opera lirica in tre atti)
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1856, domenica. A sera inizia la tempesta (storica) da cui viene distrutta l’Ile Dernière, al largo di New Orleans. Ma un’unica superstite, una bambina (Eulalie/Lili/Zouzoune) poi ribattezzata (Concepción/Conchita/Chita), si salverà. È l’inizio del breve e gentile romanzo “Chita, un ricordo dell’isola estrema”, di Lafcadio Hearn, altra romanzesca figura della letteratura americana.
(“Chita, a Memory of Last Island”, 1889 , 110 pagine)
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1867, sabato .
San Lorenzo, io so perché tanto
di stelle per l’aria tranquilla
arde e cade…
..Ritornava una rondine al tetto,
l’uccisero, cadde tra i spini…
Nel tardo pomeriggio di San Lorenzo, giorno noto anche per le stelle cadenti, venne assassinato Ruggero Pascoli, padre del poeta Giovanni, che scrisse per ricordare l’evento una delle sue più celebri poesie, in 24 versi, che intitolò “X agosto”, forse volendo indicare con la croce la morte del padre. Poesia ancora quasi obbligatoria per un Italiano.
(Dalla raccolta “Myricae”, in varie edizioni: 22 componimenti nel 1891, 156 nell’edizione del 1900).
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1880, martedì. Apparizione all’albergo Rigi Kulm. Incipit di “Tartarino sulle Alpi”, di Alphonse Daudet. Il romanzo non è al livello del “Tartarino di Tarascona”, ma si può leggere.
(“Tartarin sur les Alpes”, 1885, 306 Kbytes).
A quanto pare Daudet fu pagato 100.000 franchi dall’editore Calmann-Lévy per firmare questo libro scritto da un “negro”, certo Hugues Le Roux, in collaborazione con Julie Daudet, moglie di Alphonse. L’editore si era stancato di aspettare che Daudet scrivesse di persona un seguito al Tartarino di Tarascona. Del resto molti altri scritti del Daudet, e non i meno noti, non furono scritti da lui. Un esempio è la famosa “Capra di Monsieur Séguin”, una delle “Lettere dal mio mulino”, che fu scritta dal suo amico Paul Arène.
La storia è alle volte un po’ ingiusta nell’attribuzione dei meriti.