Dà sempre una certa emozione incontrare uno dei pochi geni che hanno camminato su questa Terra. Io ho voluto tradurre dall’originale francese in versi, nel modo più fedele possibile, e quindi incontrando diverse difficoltà, questa breve opera, l’ultima pubblicata da Leibniz. Essa è un po’ il sommario della sua visione del mondo: visione astrusa, complessa, che avevo inteso più che altro come una sfida. Avevo infatti inizialmente premesso alla traduzione i seguenti versi (che non ho mantenuto nel testo finale):
(L’oscurità di quest’opera è tanta,
pur diluita in punti novanta.
Ma chiara non sarebbe a mio contento
Neppur se i punti fosser novecento).
Ma, a furia di cercare le parole e le rime giuste e di leggere quindi le note di vari commentatori, mi è parso di essere arrivato al punto in cui penso di capirne qualcosa. C’è poco da fare, i problemi che Leibniz voleva affrontare erano immani. Forse il più colossale è quello di cercare di spiegare come questo mondo in cui pare regnare il male, sia compatibile con l’infinita perfezione e bontà divina. Alla fine, non ho dubbi che il crederlo risulti in un atto di fede.
Mah! Che il buon Goffredo, uomo simpatico di brutto carattere, che morì solo, e fu sepolto come uno sconosciuto, accompagnato al cimitero da una o forse due persone, riposi in pace, e questa mia traduzione non ne perturbi il riposo.
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