Anche questo è un ricordo del Liceo Classico. Il Vico è uno dei pochi filosofi italiani originali, ma quanto meno inventò una Scienza Nuova. Il suo volume completo consta di circa mille pagine, interessanti (e non poco) per chi ha tempo ed è interessato all’archeologia del pensiero filosofico fino a metà del Settecento. Per il resto, sono stati fatti progressi quasi ovunque, e molti degli autori citati dal Vico come fonti sono oggi quasi dimenticati: bisogna essere specialisti per sapere chi furono Selden o Pufendorf o il Laz(ius). Ma, fortunatamente, il Vico voleva costruire una “nuova scienza”, la storia, non raccontata, ma studiata nelle sue cause e nel suo sviluppo. Per questo incominciò la sua opera fissando anzitutto, come nella geometria Euclidea, i postulati, plausibili ma non dimostrabili, che egli chiamò “Degnità” (sua traduzione dal greco “axiòmata”). Questa parte della sua opera, anche se minuta in mole, è ancora in gran parte valida o almeno interessante, anche per chi non vuole gettarsi senza salvagente nel mare magnum delle mille pagine. Non avendo studiato le degnità con cura quando dovevo, pur avendo poi rimediato un buon voto all’esame, mi sono sentito in dovere di recuperarle e metterle in versi: non penso che ci sia modo migliore di studiare un soggetto. Anche se forse stucchevole per un improbabile lettore, l’esercizio è servito a me. Nei miei versi ho cercato di mantenere il modo di parlare del Vico, e quindi, prima di condannare qualche forma, prego di confrontare con l’originale. Ho anche premesso alle degnità una mia replica a colori dell’incisione introduttiva, con tanto di breve sommario della spiegazione, dovuto al Vico. In coda a questa spiegazione, ho aggiunto copia della sua Tavola Cronologica. Infine, ho posposto al tutto una conclusione citando l’explicit dell’opera con le parole del Vico. Penso che il tutto sia meglio che niente. Buona lettura.