8 Agosto

Sezione: non-accadde/

Sardonicus dixit (et DE non peius fecit) :”La fine dell’amore ingrandisce quei difetti che l’inizio dell’amore tentava di nascondere.”


8 agosto
13** “…ricordandom’io pur testé che la festa di san Lorenzo sia di qui a due dì…”. Grazie alla vicinanza di questa ricorrenza (10 agosto) frate Cipolla può spiegare come nella sua preziosa cassetta di reliquie da presentare ai Certaldesi non vi sia la penna autentica dell’Angelo Gabriele, ma il carbone usato per ardere San Lorenzo sulla graticola. E’ una delle pochissime date identificabili nel Decamerone (Giornata VI, Novella X), di Giovanni Boccaccio.
Le cento novelle hanno i più disparati soggetti, raggruppati per tema, di assai disuguale lunghezza, valore artistico, castigatezza. Tutte, però, sono scuola di buon italiano. È uno dei nostri grandi classici, ed una oculata selezione di novelle vale decisamente la fatica.
(“Il Decameron”, scritto tra il 1349 e il 1353, 100 novelle, circa 1000 pagine).

1596, giovedì. Muore Marguerite Du Perier, nata il 2 febbraio 1593. Vedi 23 giugno. Aveva tre anni, e le toccarono in sorte due versi tra i più belli della letteratura francese.
Viene in mente la piccola Erotion (di sei anni), su cui pianse Marziale, dedicandole alcuni dei versi più belli della letteratura latina:
Mollia non rigidus caespes tegat ossa nec illi,
terra, gravis fueris: non fuit illa tibi.

…Le sue tenere ossa ricopra una zolla non dura, e tu su di lei,
terra, non esser pesante: non lo fu lei su di te.
Gli epigrammi di Marco Valerio Marziale sono ovviamente un classico, che ci rivela la società romana alla fine del primo secolo dC. Non tutti castigatissimi, molti divertenti.
(“Epigrammaton libri”, pubblicati tra l’88 e il 103 dC, 12 libri. Vi si aggiunsero altri due libri chiamati Xenia, cioè “doni per gli ospiti di un banchetto”, e Apophoreta, cioè “doni da portar via”. Infine il quindicesimo libro, Liber Spectaculorum sarebbe la raccolta più antica. In tutto 1561 epigrammi).

1935, giovedì. Grande uragano in cui perisce Robert Blake, nel racconto “Colui che abitava nel buio”, di Howard Phillips Lovecraft.
Lovecraft, che in vita ebbe pochi riconoscimenti, è un degno erede di Edgard Allan Poe, anche se il suo possesso della lingua è stato giudicato inferiore a quello del suo grande predecessore. Sarà, ma le situazioni da incubo che Lovecraft crea, spinto da una fantasia possente, e da non trascurabile cultura, non sono da prendere alla leggera. È pur sempre un maestro. La sua tesi, nettamente anti-gnostica, è che il mondo razionale sia una piccola isola in un universo di puro orrore. La conoscenza della realtà vera quindi non porta con sé la salvezza, ma la distruzione, perché significa soltanto conoscere l’orrore, e l’unico scampo è la follia. Questa tesi ricompare più volte nei suoi scritti (in particolare in “Colui che abitava nel buio”) con una ricorrente visione spaventosa di Azathoth, Signore del Tutto, sdraiato al centro del caos primigenio.
Soprattutto per chi è a caccia di incubi.
(“The haunter of the dark”, 1935, 15 pagine).