Sardonicus dixit:”L’errore nella quadratura del cerchio è sempre dietro l’angolo.” (Spiritoso! - DE)
24 agosto
79 dC., data in cui secondo vari scrittori contemporanei avvenne l’eruzione del Vesuvio che distrusse Pompei (studiosi moderni pensano che avvenne alla fine di novembre). Edward Bulwer-Lytton, che scrisse il romanzo “Gli ultimi giorni di Pompei”, dedica diversi capitoli a quest’ultimo giorno, senza però mai dirci direttamente la data, neanche il mese. Indica però come giorno dell’eruzione il giorno dopo la festa dei Volcanalia, feste celebrate per propiziarsi il dio Vulcano, e, si presume, anche il vulcano Vesuvio. Tali feste si celebravano il 23 agosto, ma il lettore si deve andare a cercare la data da solo. Il romanzo, che si basa sulle scoperte archeologiche del tempo e può essere utilmente letto tenendo in mano la mappa allora nota della Pompei romana, vuol esprimere la decadenza di Roma, il sorgere del cristianesimo etc. . Con giustizia esemplare punisce i cattivi e premia i buoni. Fu molto criticato per un sacco di giustissimi motivi, ma intanto lo si leggeva, e lo si legge ancora.
(“The Last Days of Pompeii”, 1834, 934 Kbytes).
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Nel suo lungo racconto “Gradiva”, Wilhelm Jensen fissa senza esitazione la tragedia di Pompei al 24 agosto del 79. Il racconto è una storia d’amore, apparentemente irreale ma in realtà ben concreta. Il giovane archeologo Norbert Hanold si infatua per la bella romana ritratta in un bassorilievo (che esiste). Essa è ritratta mentre cammina in un modo particolare, per cui le assegna il nome di Gradiva, “Colei che procede nello splendore”. Si mette a cercarla e la ritroverà - e non lei soltanto. Acuta analisi psicologica, sottile umorismo, classica bellezza, romantici sentimenti, simpatici personaggi - da non mancare.
(“Gradiva, Ein pompejanisches Phantasiestück”, 1903, circa 100 pagine)
A quanto pare, l’autore, a suo dire ignaro di psicanalisi, arrivò d’istinto a descrivere nei dettagli clinici una malattia della psiche (delusione) e ad un trattamento psicanalitico per il suo personaggio.
Per questo motivo, sovente il racconto è stampato insieme ad un caratteristico saggio poco più lungo del racconto, scritto da Sigmund Freud, che oggi si chiamerebbe “the making of Gradiva” e porta il titolo di “Delusione e sogni nella Gradiva di Jensen”. L’idea lascia qualche dubbio. Uno psicanalista invariabilmente rifiuterebbe di eseguire un’analisi per interposta persona. Come si può pensare di psicanalizzare un personaggio letterario? Come si possono analizzare dei sogni non sognati? Di questi problemi, ovviamente, Freud è ben cosciente, ma sembra non abbia resisitito al piacere dell’esercizio, che presumo fosse un travestimento della psicanalisi dell’autore, il quale aveva avuto una simile esperienza, conclusasi meno felicemente. Ad ogni modo, se si vuol fare gli psicanalisti dilettanti (attività caldamente sconsigliata, a parere degli psicanalisti) lo studio di Freud è un buon avviamento all’interpretazione psicanalitica dei sogni.
(“Der Wahn und die Träume in W. Jensens Gradiva”, 1907, circa 120 pagine).
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394 dC. L’ultima iscrizione databile in caratteri geroglifici, il “Graffito di Esmet-Akhom” - festival della nascita di Osiride, anno 110 di Diocleziano. Con essa si chiude la letteratura egiziana (anche se ci sono iscrizioni demotiche fino al 452 dC, vedi 2 dicembre). Ecco come termina il testo:
“Parole dette da Merul, signore di Ab-aton, grande dio… “ In realtà dobbiamo immaginare che qui ci siano due punti, a cui avrebbero dovuto seguire le parole di Merul, ma evidentemente qualcuno interruppe lo scrittore e … il resto è silenzio.
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410 dC. Sacco di Roma da parte dei Goti di Alarico. I pagani attribuirono questa catastrofe al fatto che il Cristianesimo aveva offeso le divinità protettrici di Roma. Da questa accusa prese lo spunto Sant’Agostino per scrivere una apologia del Cristianesimo. Ma non si fermò lì. Ne venne un lungo, denso, farraginoso, vibrante libro, “La Città di Dio”, uno dei libri importanti della cultura occidentale – e, come tutti i libri importanti, rarissimamente letto - il quale dà un’interpretazione della storia che è forse l’unica alternativa all’idea di una storia completamente priva di senso. La storia ha due facce: una visibile, che è la storia politica dei (tele)giornali e dei libri di storia, storia della città degli uomini; l’altra è la storia che dà senso alla prima, ed è la storia della città di Dio, in continuo contrasto con la città degli uomini. Ma come si fa a leggere un libro politicamente scorretto di tale mole? Forse è meglio lasciar perdere, perché magari poi si deve rivedere tutta la propria vita, e adesso non esageriamo. Perché con Agostino non si scherza.
(“De Civitate Dei”, 22 libri, 890 Kbyte).
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1665, lunedì. Nella notte furono assassinati a Parigi il luogotenente criminale Jacques Tardieu e sua moglie, di leggendaria avarizia. Probabilmente furono uccisi da ladri contrariati per non aver trovato niente nella casa. Nicolas Boileau Despréaux ricordò il fatto e diede un ritratto della coppia nella sua satira X, sulle donne, soggetto già preso di mira da Giovenale nella sua satira VI. Oltre ad esser scritte in un bel francese, le satire di Boileau (che non fu il solo a scrivere satire in Francia al suo tempo) ci danno un quadro interessante della società Parigina della seconda metà del ‘600, quando c’era il Re Sole e tutto il resto. Ricordo in particolare la satira prima, 1660 (che si conclude con un addio a Parigi, in cui non si può più vivere), ispirata dalla satira III di Giovenale (non si può vivere a Roma - andrebbe letta anche questa), imitata anche da Samuel Johnson in un suo poema “Londra, poema ad imitazione della satira III di Giovenale”, 1738 (da cui si desume che era difficile vivere a Londra). Questi autori satirici vivevano nelle città principali del loro tempo, erano quindi invidiati da tutti, ma non erano mai contenti.
(“Satires”, 1666-1706, dodici satire, 100 pagine).
Come Orazio, Boileau scrisse Satire (12), Epistole (12), un’arte poetica, traduzioni e altro.
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Data per cui sono inizialmente fissate le nozze del buon cugino Paolino con Carolina, in “Demetrio Pianelli”, capolavoro di Emilio De Marchi. E’ questo uno dei maggiori romanzi italiani ottocenteschi dopo i Promessi Sposi. Mi fu detto che, secondo la tradizione famigliare, il De Marchi era un uomo di argutissima conversazione: evidentemente riservava tutta la sua melancolia a Demetrio Pianelli e, in seguito , alla di lui nipote Arabella. Qualcosa del suo humour, invece, trapela ne “Il cappello del prete”. Il romanzo italiano dell’Ottocento non è all’altezza di quello inglese, o francese, o russo, o tedesco e forse neanche spagnolo. Tuttavia, la Musa ogni tanto prende per mano il De Marchi e gli regala d’improvviso una frase come questa, che descrive la vista dei tetti di Milano nell’estate torrida a fine luglio, dalla soffitta di Demetrio Pianelli: ”Il silenzio dei tetti spopolati penetrava il cuore”. Idem per l’explicit del romanzo.
(“Demetrio Pianelli”, 1890, circa 100000 parole)
Emilio De Marchi non mancava di idee. Sembra che ad un suo romanzo poi ripudiato, “Redivivo”, si sia ispirato per “Il fu Mattia Pascal” (1904) niente meno che Pirandello. Il lettore può giudicare quanto si assomiglino le due opere, o quanto differiscano. E’ sbrigativa e a tinte più forti quella di De Marchi, che si svolge addirittura in Giappone, Germania e Sud America; è caratteristicamente meno avventurosa ma più profonda quella di Pirandello. Esempi di redivivi non mancano comunque nella letteratura mondiale e Pirandello non parlò mai del “Redivivo” di De Marchi. Possedeva però una copia del libro (edizione 1910 – le date quadrano fino a un certo punto).
(”Redivivo”; 1894, a puntate; volume postumo, 1909. Circa 200 pagine).